IL
GRAFFIO DEL VIAGGIATORE
Per
scrittori anarchici …completamente liberi
Anno
3 – Numero 40 – Maggio 2018
Questo
mese una novità. Grazie
Iapo. In
questo preciso momento storico nel nostro mare mediterraneo, questo
racconto deve arrivare a più persone possibili. Diamo una luce di
speranza a questo piccolo mondo, che evidentemente per molti è
stretto e han paura di perderlo.
I
GRAFFI DI MAGGIO
SIERRA
LEONE
Un
inferno chiamato Serra Leone, ma anche le fiamme hanno una luce.
Caro
Pesce.
A causa tua sono andato all'inferno.
Sono perfettamente consapevole del fatto che questa affermazione ti sembrerà grottesca, eccessiva, surreale, ma se avrai un poco di pazienza e continuerai la lettura di questo mio pensiero a te rivolto, capirai che non è così.
Sono andato all'inferno, ti dicevo, tra la fine di Agosto ed i primi giorni di Settembre 2017.
Nel corso della nostra vita l'Inferno ci è stato descritto a livello visivo in modi e maniere diversi tra loro.
Ripenso a quello biblico, come luogo dominato da fiamme e tenebre, dal quale santi e beati in Paradiso possono essere visti da coloro che in vita hanno perpetrato il Male, condannati quindi a trascorrere un tempo infinito tra fornaci ardenti, fuochi inestinguibili, sofferenze, dolori e atrocità.
Ricordo quello dantesco: una profonda cavità a forma di imbuto che si apre sotto Gerusalemme e che raggiunge il centro della Terra.
La cavità è composta da nove gironi che pian piano si sviluppano a spirale giù in profondità.
Io, non essendo molto religioso, ed ammirando del Sommo Poeta più l'opera scritta che i costrutti architettonici, ho sempre prestato poco credito e poca attenzione ad entrambe le rappresentazioni.
Ho dunque atteso di incontrare lungo il cammino della vita qualcosa, qualunque cosa, che potessi identificare in un inferno reale, tangibile, concreto.
Dico che stavo cercando un "aldilà" materiale, fisico, perché di inferni emotivi ne ho già vissuti diversi, tra la tua scomparsa nel Marzo del 2008, e la morte di mio Babbo e della Zia Anna, entrambi divorati vivi da devastanti malattie degenerative a cavallo tra l'Ottobre 2015 ed il Maggio 2016.
L'ho infine fronteggiato, l'inferno reale che stavo cercando: mi ci sono trovato dentro il 27 Agosto 2017 all'interno di un viaggio avente TE come causa, come motivazione, come ragione.
Il "mio" inferno si chiama Sierra Leone.
E non ha bisogno nè di fiamme, nè di fumo e nè di tenebre, perché di dolore, sofferenza, angoscia e morte, ne dispensa in gran quantità già così com'è, allo stato naturale.
La Sierra Leone è uno Stato dell'Africa Occidentale, situato sulla costa dell'Oceano Atlantico.
Confina con la Guinea a nord e a est, e con la Liberia a sud-est.
Gli abitanti della Sierra Leone sono circa 6 milioni.
Durante gli ultimi secoli la Sierra Leone è stata devastata da un numero quasi incalcolabile di guerre, conflitti e violenze di ogni genere, ancor prima di diventare colonia inglese (1788), durante quel periodo ed ancora successivamente a quell'epoca.
Dominano le industrie estrattive, principalmente ferro, bauxite e soprattutto diamanti, la cui estrazione e distribuzione è stata in larga parte data in concessione ai cinesi dal governo della Sierra Leone.
Tra il 2014 ed il 2015 la Sierra Leone è stata devastata da un'epidemia del virus Ebola, che ha causato oltre 4.000 morti su circa 14.000 casi rilevati complessivamente soltanto in quel paese.
Andiamo però in ordine, cominciando dall'inizio...
Sul finire dello scorso mese di Agosto, anno 2017, in rappresentanza dell'associazione "Big Fish", ed invitati da Cecilia Strada nel Settembre del 2016, io e Bruce ci siamo recati in Sierra Leone con l'intento di raccogliere materiale video al fine di dare vita ad una sorta di cortometraggio-documentario-testimonianza sulla struttura ospedaliera di Emergency verso la quale, IN TUO NOME, abbiamo devoluto la quasi totalità degli incassi dell'evento che dal 2009 organizziamo nel ricordo della meravigliosa persona che sempre sarai, il "Big Fish Day".
In Sierra Leone, presso la città di Goderich, Emergency è presente dal 2001 con un ospedale che ha curato circa 720.000 persone in meno di 20 anni.
La partenza, come sempre in questi casi, è stata caratterizzata da situazioni quanto meno grottesche.
Bologna, a fine Agosto, è una sorta di enorme forno a microonde: la città è calda oltre ogni umana sopportazione, umida da far schifo e popolata da zanzare grosse come dei conigli.
Saliamo sull'aereo della mai sentita nominare prima "Royal Air Maroc"...
Bruce pare rilassato e in qualche maniera a proprio agio.
Io, come sempre, sono paurosamente sudato fradicio, al pari di quello che potrebbe essere un maiale da cortile rinchiuso dentro una sauna contro la sua volontà.
Questi marocchini devono essere tutti molto magri, difatti la cintura di sicurezza non si chiude nemmeno col supporto degli sforzi congiunti di Bruce da destra, e di un'assistente di volo (anch'essa sovrappeso) dal lato sinistro.
Unica strada percorribile, quella di umiliarmi in pubblico come mai era stato fatto prima di quel momento: l'installazione di una prolunga della cintura di sicurezza.
Con l'applicazione della prolunga, la cintura si chiude e torno finalmente a respirare.
Il pasto era così squisito, così gustoso, così saporito, che Bruce praticamente non tocca cibo: naturalmente, io che sono di gusti meno difficili, mangio sia la mia parte di cena che la sua.
L'ultima cosa che vedo dall'aereo prima di addormentarmi, è la netta linea di demarcazione che divide il blu perfetto del Mare Mediterraneo, dal rosso incandescente del deserto del Sahara; una sciabolata pulita che taglia con precisione due immense strisce di colore differente.
L'atterraggio presso l'aeroporto di Casablanca è ben condotto; le cinque ore di attesa prima della partenza del volo per Freetown, capitale della Sierra Leone, ci permettono di fare le cose con molta calma.
Anche troppa, direi...
Giunti al "gate" presso il quale ci saremmo dovuti imbarcare per raggiungere la nostra destinazione, noto come veramente poca gente sia in attesa del volo per la Sierra Leone.
Davvero poca...e mi domando come possa un aereo sostenere i costi di carburante per un viaggio del genere, trasportando così pochi passeggeri...
Il tempo trascorre lentissimo, ma il numero dei presenti all'imbarco non accenna ad aumentare.
Senza pronunciare parola, continuo a chiedermi come possa un aereo volare da una città dell'Africa all'altra, trasportando un numero così esiguo di persone.
La risposta è semplice: non lo fa...
Volo cancellato.
Nelle lunghe ore seguenti, tre operatori della "Royal Air Maroc" vengono a tranquillizzare gli animi raccontando ciascuno una bugia diversa.
Tre versioni differenti del perchè il volo non sia partito.
Un mare di balle.
Era assolutamente palese come il volo fosse stato cancellato a causa di un numero insufficiente di biglietti acquistati.
Mentre alcuni esagitati arrivano addirittura alle mani nei confronti dei dipendenti della compagnia aerea, io e Bruce cerchiamo semplicemente di capire come e quando prendere il prossimo volo per Freetown.
Ci viene offerta una notte presso un albergo dignitosissimo; la colazione, sulla falsariga del pasto della tratta Bologna-Casablanca, fa semplicemente schifo.
Io però, per non offendere i cuochi, spazzolo alla perfezione un carrello e mezzo di portate, aventi tutte un retrogusto tra l'acido e il salato.
Verso metà mattina saliamo finalmente sul nostro aeroplano, dopo essere stati protagonisti nel giro di poche ore di menzogne, ritardi, pugni e calci, navette da e per l'aeroporto, e pessimo cibo.
Dall'alto della nostra quota di volo, assistiamo ad un altro spettacolo mozzafiato: il rosso della sabbia del Sahara ci lascia così come ci aveva dato il benvenuto: con una rasoiata di precisione chirurgica che taglia l'Africa settentrionale con una linea retta che si allunga a perdita d'occhio; fa il suo ingresso il verde fitto ed intenso delle foreste dell'Africa subsahariana.
La Sierra Leone dall'alto è così bella che toglie il respiro: un'esplosione di verde fittissimo squarciato da un numero incalcolabile di fiumi dalla portata d'acqua impressionante.
L'uscita dall'aeroporto di Freetown è a dir poco comica.
Per prima cosa ricevo le "avanches" da parte di una responsabile del controllo dei passaporti, dei visti, e dei vaccini da noi dichiarati: una bellissima quanto voluminosa donna dalla pelle d'ebano che mi sorride e mi conferma con un inglese perfetto la sua predilezione per i ragazzi in carne...
Subito dopo, scopriamo che in Sierra Leone vestire la t-shirt di Emergency equivale ad essere trattati come delle vere rock-star.
Veniamo serviti e riveriti passo dopo passo da un piccolo esercito di persone che sembrano in grado di ripetere una sola parola: "Emergency, Emergency, Emergency".
Scopriamo che l'aeroporto internazionale non è situato nella capitale, Freetown, bensì a Lungi.
Questo perché Freetown ed il resto del paese sono praticamente irraggiungibili via terra, a causa dell'intricatissimo e super ramificato sviluppo degli imponenti sistemi fluviali.
Sotto una pioggia torrenziale, inizia quindi un vero e proprio viaggio della speranza che ci porta dall'aeroporto ad un bus, dal bus ad un porticciolo, da lì saliamo sopra un battello, dal battello raggiungiamo un attracco presso Freetown, la capitale della Sierra Leone.
Lì ci aspetta Simona, membro della squadra di Emergency; nel giro di un'ora raggiungiamo finalmente la guest-house di Goderich.
Il tragitto tra la città e la periferia rappresenta un antipasto di quanto vedremo nei giorni successivi: le strade sono quasi del tutto inesistenti, solo alcune abitazioni hanno l'elettricità, la popolazione è quasi totalmente inoperosa, perché le poche attività lavorative sono gestite da libanesi e stranieri in generale.
Molte zone portano ancora i segni della devastante inondazione di acqua e fango che solamente pochi giorni prima aveva causato migliaia di morti lungo piste di terra battuta che difficilmente possono venire chiamate "strade".
Man mano che dalla capitale usciamo in direzione delle periferie, le poche case in muratura lasciano il posto a capanne fatte di legno, travi ed altri materiali di ritrovo, fino a presentarci quella che è una delle tipologie di alloggio più comuni in Sierra Leone: quattro lamiere legate bene con del filo di ferro, a rappresentare le pareti, ed un telone di nylon di color arancione a fornire la copertura per il tetto.
Una volta raggiunta la guest-house, i ragazzi di Emergency ci danno il benvenuto mostrando grande cordialità e gentilezza.
Tale senso dell'ospitalità e dell'accoglienza ci mette totalmente a nostro agio, al punto che in pratica iniziamo a raccogliere materiale video immediatamente, già dalla mattina successiva al nostro arrivo.
Cos'abbia rappresentato per me l'esperienza vissuta trascorrendo un'intera settimana, dalle prime luci dell'alba al tardo pomeriggio, tra le mura di quell'ospedale, è un qualcosa che le sole parole non saranno mai in grado di spiegare, nemmeno lontanamente.
Otto giorni caratterizzati da un bombardamento di immagini che la mia mente non potrà mai dimenticare.
Abbiamo visto il dolore, l'afflizione, lo strazio, in quantità impossibili da sopportare.
Abbiamo visto la sofferenza, l'angoscia, il tormento, ai livelli più alti che si possa immaginare.
Abbiamo visto delle persone salvate.
Abbiamo visto delle persone morire.
Abbiamo visto un popolo senza alcuna prospettiva, un popolo senza possibilità, senza un briciolo di aspettative.
Un popolo senza opportunità, senza futuro, senza salvezza.
Abbiamo visto persone non avere nulla, niente di niente, se non una cosa, che hanno in grande abbondanza: le malattie.
Tante.
Quasi tutte.
Ripenso alle lunghe giornate trascorse dentro gli ambienti di quell'ospedale come "braccio destro" di Bruce, massimo esperto di tutto quel che riguarda riprese con telecamera e materiale video in generale.
Ripenso alle centinaia di cittadini della Sierra Leone che ho incontrato in una settimana lungo i corridoi di quella struttura.
Ripenso ai loro occhi, ai loro volti, alle espressioni, agli sguardi che ho incrociato.
Ripenso ai bambini, ai loro sorrisi, alle loro grida, alle lacrime delle loro mamme davanti ad una realtà che pare più orribile del peggiore incubo.
Ripenso al lavoro quotidiano di un gruppo di eroi, miei coetanei e più giovani di me, che hanno stabilito come priorità assoluta quella di salvare delle vite umane.
Le vite di persone dimenticate dal proprio governo, e da qualunque altro governo del mondo.
Dimenticate da tutti.
Ripenso a Paolo, Gennaro, Simona, Fabio, Silvia, Carmine, Valeria, e tutti gli altri membri di Emergency di cui purtroppo non ricordo il nome.
Instancabili, inarrestabili, inesauribili.
Enormi porzioni della propria vita trascorse dentro le stanze di un ospedale all'avanguardia, di altissimo livello da qualunque punto lo si analizzi, collocato in una delle zone del mondo che più mi sento di accomunare ad un vero e proprio inferno in terra.
Ragazzi e ragazze che hanno preso una posizione ben precisa nei confronti della sofferenza.
Hanno deciso di non vivervi a stretto contatto solamente per pochissimi giorni, come abbiamo fatto io e Bruce.
Hanno deciso di non osservarla solamente su YouTube, su Facebook, o in televisione.
Hanno deciso di combatterla, di fronteggiarla, di aggredirla.
Hanno deciso di provare a cambiare le cose in maniera concreta, tangibile, reale.
Ripenso al loro operato all'interno dei reparti di pediatria, pronto soccorso, farmacia, terapia intensiva, rianimazione, ortopedia, chirurgia, etc...etc...
Durante quelle giornate, entravano in ospedale decine di cittadini della Sierra Leone.
Qualcuno usciva dall'ospedale vivo, altri sono stati meno fortunati, purtroppo.
A noi veniva indicato dove poter parcheggiare l'attrezzatura, dove e quando poter effettuare riprese video, dove sostare nei momenti durante i quali l'attività era maggiormente frenetica, etc...etc...
Nelle pause, a volte lunghe, tra una ripresa e l'altra, ero solito sedermi lungo un muretto non distante dal reparto di pediatria; quei bambini erano belli come la vita stessa.
Pensavo a quanto è diverso il mondo in cui viviamo, anche solamente a poche ore di aereo da un punto all'altro.
Me ne stavo lì ricurvo col telefono in mano a fissare quei bambini stupendi, e pensavo a quanto sono profondamente differenti le nostre vite nel benestante occidente da quelle di altri esseri umani uguali a noi, nati purtroppo per loro ad altre latitudini del pianeta Terra.
Latitudini meno "fortunate".
Per noi, nel corso dei decenni, sono divenute di vitale importanza cose come le auto, gli aperitivi, gli smart-phone, la vita notturna, la connessione Wi-Fi in ristoranti & alberghi, il calcio, gli abiti firmati, i viaggi, gli occhiali da sole alla moda, i locali di grido, la settimana in montagna, l'appartamento al mare, lo shopping, Facebook, Instagram, Whatsapp.
Mentre mi guardavo intorno, però, vedevo persone che non avevano nulla, se non un impressionante numero di malattie
Assolutamente nulla.
Che strana società, amico Pesce, quella che permette durante i secoli la nascita e lo sviluppo di squilibri di dimensioni così gigantesche.
Che strana società, amico Pesce, quella che concede a qualcuno di avere tutto, anzi troppo, moltiplicato un milione di volte, e condanna altri a non avere niente, ma davvero niente, nemmeno qualcosa da mettere in bocca per non morire di fame.
Una società nella quale se parli di compassione, pietà, sostegno a chi ha di meno, vieni etichettato come "buonista".
Una società nella quale se parli di solidarietà, fratellanza, integrazione, vieni chiamato "moralista".
Una società nella quale se parli di diritti civili, disuguaglianza sociale, pari opportunità, vieni definito "comunista".
Ci siamo arresi.
Forse l'abbiamo fatto senza l'intenzione di farlo, involontariamente.
Ma l'abbiamo fatto.
Abbiamo deciso, inconsciamente o volutamente, di abbassare lo sguardo.
L'abbiamo abbassato al punto tale che il campo visivo ci permette di osservare solamente la ridicola superficie del nostro insulso orticello.
Non riusciamo a scorgere nulla di ciò che accade oltre quella fragile staccionata.
O forse non vogliamo farlo.
Forse non ci interessa.
L'unica cosa che ci preme è che il NOSTRO pezzettino di terra sia perfettamente ordinato, filo d'erba per filo d'erba, senza che si senta il bisogno di prestare interesse ed attenzione a ciò che accade anche solamente a pochi metri di distanza dal nostro piccolo angolo fatto di certezze e punti fermi.
Abbiamo scelto di vivere sperando che QUEL destino non tocchi mai noi e le nostre famiglie, illudendoci che le opportunità alle quali abbiamo avuto la possibilità di accedere solamente per il fatto di essere nati dove siamo nati, e non altrove, restino per sempre un NOSTRO diritto immutabile, saldamente stretto nelle nostre mani.
In Africa ho visto l'inferno, Pesce.
Un inferno chiamato Sierra Leone.
E' un gigantesco pozzo oscuro, sul fondo del quale brilla una piccola luce.
E' una luce che in principio mi era parsa debole, tenue, quasi stanca, ma che col passare del tempo si è fatta più intensa, diventando giorno dopo giorno sempre più intensa, vigorosa, forte.
Una luce generata da Paolo, Gennaro, Simona, Fabio, Silvia, Carmine, Valeria e da tutti gli altri formidabili collaboratori di Emergency.
Un team di personaggi incredibili che hanno deciso di dedicare la propria vita al salvataggio e al miglioramento di quella di poveri disgraziati dimenticati da TUTTO e da TUTTI.
Tu sei al loro fianco, Pesce.
Sei laggiù in Sierra Leone a combattere con loro la più grande delle battaglie perse: quella contro le diseguaglianze sociali, contro la povertà e la miseria, contro gli squilibri presenti in ogni angolo del mondo, contro il disprezzo dei diritti fondamentali di ogni essere umano.
Non lo dico in via metaforica; ci sei veramente, laggiù.
Ci sei matarialmente, al fianco degli altri ragazzi, nell'ospedale di Goderich.
Non lontano dal reparto di chirurgia, infatti, c'è un poster sul quale vengono fatti numerosi ringraziamenti ai tanti sostenitori di quella struttura ospedaliera.
Il primo ringraziamento, in alto, recita queste parole: "Associazione Big Fish".
Ciao Pesce.
Grazie all'incredibile sostegno del vastissimo pubblico della grande famiglia "Big Fish Day", nel ricordo di Mirko "Pesce" Bartolini siamo riusciti a supportare l'ospedale di Emergency a Goderich, in Sierra Leone, con una somma pari a circa 75.000 euro, raccolti durante lo svolgimento di nove feste bellissime ed indimenticabili, a cavallo tra il 2009 ed il 2017.
"I diritti degli uomini devono essere di tutti.
Proprio di tutti.
Altrimenti chiamateli privilegi"
- Gino Strada -
A causa tua sono andato all'inferno.
Sono perfettamente consapevole del fatto che questa affermazione ti sembrerà grottesca, eccessiva, surreale, ma se avrai un poco di pazienza e continuerai la lettura di questo mio pensiero a te rivolto, capirai che non è così.
Sono andato all'inferno, ti dicevo, tra la fine di Agosto ed i primi giorni di Settembre 2017.
Nel corso della nostra vita l'Inferno ci è stato descritto a livello visivo in modi e maniere diversi tra loro.
Ripenso a quello biblico, come luogo dominato da fiamme e tenebre, dal quale santi e beati in Paradiso possono essere visti da coloro che in vita hanno perpetrato il Male, condannati quindi a trascorrere un tempo infinito tra fornaci ardenti, fuochi inestinguibili, sofferenze, dolori e atrocità.
Ricordo quello dantesco: una profonda cavità a forma di imbuto che si apre sotto Gerusalemme e che raggiunge il centro della Terra.
La cavità è composta da nove gironi che pian piano si sviluppano a spirale giù in profondità.
Io, non essendo molto religioso, ed ammirando del Sommo Poeta più l'opera scritta che i costrutti architettonici, ho sempre prestato poco credito e poca attenzione ad entrambe le rappresentazioni.
Ho dunque atteso di incontrare lungo il cammino della vita qualcosa, qualunque cosa, che potessi identificare in un inferno reale, tangibile, concreto.
Dico che stavo cercando un "aldilà" materiale, fisico, perché di inferni emotivi ne ho già vissuti diversi, tra la tua scomparsa nel Marzo del 2008, e la morte di mio Babbo e della Zia Anna, entrambi divorati vivi da devastanti malattie degenerative a cavallo tra l'Ottobre 2015 ed il Maggio 2016.
L'ho infine fronteggiato, l'inferno reale che stavo cercando: mi ci sono trovato dentro il 27 Agosto 2017 all'interno di un viaggio avente TE come causa, come motivazione, come ragione.
Il "mio" inferno si chiama Sierra Leone.
E non ha bisogno nè di fiamme, nè di fumo e nè di tenebre, perché di dolore, sofferenza, angoscia e morte, ne dispensa in gran quantità già così com'è, allo stato naturale.
La Sierra Leone è uno Stato dell'Africa Occidentale, situato sulla costa dell'Oceano Atlantico.
Confina con la Guinea a nord e a est, e con la Liberia a sud-est.
Gli abitanti della Sierra Leone sono circa 6 milioni.
Durante gli ultimi secoli la Sierra Leone è stata devastata da un numero quasi incalcolabile di guerre, conflitti e violenze di ogni genere, ancor prima di diventare colonia inglese (1788), durante quel periodo ed ancora successivamente a quell'epoca.
Dominano le industrie estrattive, principalmente ferro, bauxite e soprattutto diamanti, la cui estrazione e distribuzione è stata in larga parte data in concessione ai cinesi dal governo della Sierra Leone.
Tra il 2014 ed il 2015 la Sierra Leone è stata devastata da un'epidemia del virus Ebola, che ha causato oltre 4.000 morti su circa 14.000 casi rilevati complessivamente soltanto in quel paese.
Andiamo però in ordine, cominciando dall'inizio...
Sul finire dello scorso mese di Agosto, anno 2017, in rappresentanza dell'associazione "Big Fish", ed invitati da Cecilia Strada nel Settembre del 2016, io e Bruce ci siamo recati in Sierra Leone con l'intento di raccogliere materiale video al fine di dare vita ad una sorta di cortometraggio-documentario-testimonianza sulla struttura ospedaliera di Emergency verso la quale, IN TUO NOME, abbiamo devoluto la quasi totalità degli incassi dell'evento che dal 2009 organizziamo nel ricordo della meravigliosa persona che sempre sarai, il "Big Fish Day".
In Sierra Leone, presso la città di Goderich, Emergency è presente dal 2001 con un ospedale che ha curato circa 720.000 persone in meno di 20 anni.
La partenza, come sempre in questi casi, è stata caratterizzata da situazioni quanto meno grottesche.
Bologna, a fine Agosto, è una sorta di enorme forno a microonde: la città è calda oltre ogni umana sopportazione, umida da far schifo e popolata da zanzare grosse come dei conigli.
Saliamo sull'aereo della mai sentita nominare prima "Royal Air Maroc"...
Bruce pare rilassato e in qualche maniera a proprio agio.
Io, come sempre, sono paurosamente sudato fradicio, al pari di quello che potrebbe essere un maiale da cortile rinchiuso dentro una sauna contro la sua volontà.
Questi marocchini devono essere tutti molto magri, difatti la cintura di sicurezza non si chiude nemmeno col supporto degli sforzi congiunti di Bruce da destra, e di un'assistente di volo (anch'essa sovrappeso) dal lato sinistro.
Unica strada percorribile, quella di umiliarmi in pubblico come mai era stato fatto prima di quel momento: l'installazione di una prolunga della cintura di sicurezza.
Con l'applicazione della prolunga, la cintura si chiude e torno finalmente a respirare.
Il pasto era così squisito, così gustoso, così saporito, che Bruce praticamente non tocca cibo: naturalmente, io che sono di gusti meno difficili, mangio sia la mia parte di cena che la sua.
L'ultima cosa che vedo dall'aereo prima di addormentarmi, è la netta linea di demarcazione che divide il blu perfetto del Mare Mediterraneo, dal rosso incandescente del deserto del Sahara; una sciabolata pulita che taglia con precisione due immense strisce di colore differente.
L'atterraggio presso l'aeroporto di Casablanca è ben condotto; le cinque ore di attesa prima della partenza del volo per Freetown, capitale della Sierra Leone, ci permettono di fare le cose con molta calma.
Anche troppa, direi...
Giunti al "gate" presso il quale ci saremmo dovuti imbarcare per raggiungere la nostra destinazione, noto come veramente poca gente sia in attesa del volo per la Sierra Leone.
Davvero poca...e mi domando come possa un aereo sostenere i costi di carburante per un viaggio del genere, trasportando così pochi passeggeri...
Il tempo trascorre lentissimo, ma il numero dei presenti all'imbarco non accenna ad aumentare.
Senza pronunciare parola, continuo a chiedermi come possa un aereo volare da una città dell'Africa all'altra, trasportando un numero così esiguo di persone.
La risposta è semplice: non lo fa...
Volo cancellato.
Nelle lunghe ore seguenti, tre operatori della "Royal Air Maroc" vengono a tranquillizzare gli animi raccontando ciascuno una bugia diversa.
Tre versioni differenti del perchè il volo non sia partito.
Un mare di balle.
Era assolutamente palese come il volo fosse stato cancellato a causa di un numero insufficiente di biglietti acquistati.
Mentre alcuni esagitati arrivano addirittura alle mani nei confronti dei dipendenti della compagnia aerea, io e Bruce cerchiamo semplicemente di capire come e quando prendere il prossimo volo per Freetown.
Ci viene offerta una notte presso un albergo dignitosissimo; la colazione, sulla falsariga del pasto della tratta Bologna-Casablanca, fa semplicemente schifo.
Io però, per non offendere i cuochi, spazzolo alla perfezione un carrello e mezzo di portate, aventi tutte un retrogusto tra l'acido e il salato.
Verso metà mattina saliamo finalmente sul nostro aeroplano, dopo essere stati protagonisti nel giro di poche ore di menzogne, ritardi, pugni e calci, navette da e per l'aeroporto, e pessimo cibo.
Dall'alto della nostra quota di volo, assistiamo ad un altro spettacolo mozzafiato: il rosso della sabbia del Sahara ci lascia così come ci aveva dato il benvenuto: con una rasoiata di precisione chirurgica che taglia l'Africa settentrionale con una linea retta che si allunga a perdita d'occhio; fa il suo ingresso il verde fitto ed intenso delle foreste dell'Africa subsahariana.
La Sierra Leone dall'alto è così bella che toglie il respiro: un'esplosione di verde fittissimo squarciato da un numero incalcolabile di fiumi dalla portata d'acqua impressionante.
L'uscita dall'aeroporto di Freetown è a dir poco comica.
Per prima cosa ricevo le "avanches" da parte di una responsabile del controllo dei passaporti, dei visti, e dei vaccini da noi dichiarati: una bellissima quanto voluminosa donna dalla pelle d'ebano che mi sorride e mi conferma con un inglese perfetto la sua predilezione per i ragazzi in carne...
Subito dopo, scopriamo che in Sierra Leone vestire la t-shirt di Emergency equivale ad essere trattati come delle vere rock-star.
Veniamo serviti e riveriti passo dopo passo da un piccolo esercito di persone che sembrano in grado di ripetere una sola parola: "Emergency, Emergency, Emergency".
Scopriamo che l'aeroporto internazionale non è situato nella capitale, Freetown, bensì a Lungi.
Questo perché Freetown ed il resto del paese sono praticamente irraggiungibili via terra, a causa dell'intricatissimo e super ramificato sviluppo degli imponenti sistemi fluviali.
Sotto una pioggia torrenziale, inizia quindi un vero e proprio viaggio della speranza che ci porta dall'aeroporto ad un bus, dal bus ad un porticciolo, da lì saliamo sopra un battello, dal battello raggiungiamo un attracco presso Freetown, la capitale della Sierra Leone.
Lì ci aspetta Simona, membro della squadra di Emergency; nel giro di un'ora raggiungiamo finalmente la guest-house di Goderich.
Il tragitto tra la città e la periferia rappresenta un antipasto di quanto vedremo nei giorni successivi: le strade sono quasi del tutto inesistenti, solo alcune abitazioni hanno l'elettricità, la popolazione è quasi totalmente inoperosa, perché le poche attività lavorative sono gestite da libanesi e stranieri in generale.
Molte zone portano ancora i segni della devastante inondazione di acqua e fango che solamente pochi giorni prima aveva causato migliaia di morti lungo piste di terra battuta che difficilmente possono venire chiamate "strade".
Man mano che dalla capitale usciamo in direzione delle periferie, le poche case in muratura lasciano il posto a capanne fatte di legno, travi ed altri materiali di ritrovo, fino a presentarci quella che è una delle tipologie di alloggio più comuni in Sierra Leone: quattro lamiere legate bene con del filo di ferro, a rappresentare le pareti, ed un telone di nylon di color arancione a fornire la copertura per il tetto.
Una volta raggiunta la guest-house, i ragazzi di Emergency ci danno il benvenuto mostrando grande cordialità e gentilezza.
Tale senso dell'ospitalità e dell'accoglienza ci mette totalmente a nostro agio, al punto che in pratica iniziamo a raccogliere materiale video immediatamente, già dalla mattina successiva al nostro arrivo.
Cos'abbia rappresentato per me l'esperienza vissuta trascorrendo un'intera settimana, dalle prime luci dell'alba al tardo pomeriggio, tra le mura di quell'ospedale, è un qualcosa che le sole parole non saranno mai in grado di spiegare, nemmeno lontanamente.
Otto giorni caratterizzati da un bombardamento di immagini che la mia mente non potrà mai dimenticare.
Abbiamo visto il dolore, l'afflizione, lo strazio, in quantità impossibili da sopportare.
Abbiamo visto la sofferenza, l'angoscia, il tormento, ai livelli più alti che si possa immaginare.
Abbiamo visto delle persone salvate.
Abbiamo visto delle persone morire.
Abbiamo visto un popolo senza alcuna prospettiva, un popolo senza possibilità, senza un briciolo di aspettative.
Un popolo senza opportunità, senza futuro, senza salvezza.
Abbiamo visto persone non avere nulla, niente di niente, se non una cosa, che hanno in grande abbondanza: le malattie.
Tante.
Quasi tutte.
Ripenso alle lunghe giornate trascorse dentro gli ambienti di quell'ospedale come "braccio destro" di Bruce, massimo esperto di tutto quel che riguarda riprese con telecamera e materiale video in generale.
Ripenso alle centinaia di cittadini della Sierra Leone che ho incontrato in una settimana lungo i corridoi di quella struttura.
Ripenso ai loro occhi, ai loro volti, alle espressioni, agli sguardi che ho incrociato.
Ripenso ai bambini, ai loro sorrisi, alle loro grida, alle lacrime delle loro mamme davanti ad una realtà che pare più orribile del peggiore incubo.
Ripenso al lavoro quotidiano di un gruppo di eroi, miei coetanei e più giovani di me, che hanno stabilito come priorità assoluta quella di salvare delle vite umane.
Le vite di persone dimenticate dal proprio governo, e da qualunque altro governo del mondo.
Dimenticate da tutti.
Ripenso a Paolo, Gennaro, Simona, Fabio, Silvia, Carmine, Valeria, e tutti gli altri membri di Emergency di cui purtroppo non ricordo il nome.
Instancabili, inarrestabili, inesauribili.
Enormi porzioni della propria vita trascorse dentro le stanze di un ospedale all'avanguardia, di altissimo livello da qualunque punto lo si analizzi, collocato in una delle zone del mondo che più mi sento di accomunare ad un vero e proprio inferno in terra.
Ragazzi e ragazze che hanno preso una posizione ben precisa nei confronti della sofferenza.
Hanno deciso di non vivervi a stretto contatto solamente per pochissimi giorni, come abbiamo fatto io e Bruce.
Hanno deciso di non osservarla solamente su YouTube, su Facebook, o in televisione.
Hanno deciso di combatterla, di fronteggiarla, di aggredirla.
Hanno deciso di provare a cambiare le cose in maniera concreta, tangibile, reale.
Ripenso al loro operato all'interno dei reparti di pediatria, pronto soccorso, farmacia, terapia intensiva, rianimazione, ortopedia, chirurgia, etc...etc...
Durante quelle giornate, entravano in ospedale decine di cittadini della Sierra Leone.
Qualcuno usciva dall'ospedale vivo, altri sono stati meno fortunati, purtroppo.
A noi veniva indicato dove poter parcheggiare l'attrezzatura, dove e quando poter effettuare riprese video, dove sostare nei momenti durante i quali l'attività era maggiormente frenetica, etc...etc...
Nelle pause, a volte lunghe, tra una ripresa e l'altra, ero solito sedermi lungo un muretto non distante dal reparto di pediatria; quei bambini erano belli come la vita stessa.
Pensavo a quanto è diverso il mondo in cui viviamo, anche solamente a poche ore di aereo da un punto all'altro.
Me ne stavo lì ricurvo col telefono in mano a fissare quei bambini stupendi, e pensavo a quanto sono profondamente differenti le nostre vite nel benestante occidente da quelle di altri esseri umani uguali a noi, nati purtroppo per loro ad altre latitudini del pianeta Terra.
Latitudini meno "fortunate".
Per noi, nel corso dei decenni, sono divenute di vitale importanza cose come le auto, gli aperitivi, gli smart-phone, la vita notturna, la connessione Wi-Fi in ristoranti & alberghi, il calcio, gli abiti firmati, i viaggi, gli occhiali da sole alla moda, i locali di grido, la settimana in montagna, l'appartamento al mare, lo shopping, Facebook, Instagram, Whatsapp.
Mentre mi guardavo intorno, però, vedevo persone che non avevano nulla, se non un impressionante numero di malattie
Assolutamente nulla.
Che strana società, amico Pesce, quella che permette durante i secoli la nascita e lo sviluppo di squilibri di dimensioni così gigantesche.
Che strana società, amico Pesce, quella che concede a qualcuno di avere tutto, anzi troppo, moltiplicato un milione di volte, e condanna altri a non avere niente, ma davvero niente, nemmeno qualcosa da mettere in bocca per non morire di fame.
Una società nella quale se parli di compassione, pietà, sostegno a chi ha di meno, vieni etichettato come "buonista".
Una società nella quale se parli di solidarietà, fratellanza, integrazione, vieni chiamato "moralista".
Una società nella quale se parli di diritti civili, disuguaglianza sociale, pari opportunità, vieni definito "comunista".
Ci siamo arresi.
Forse l'abbiamo fatto senza l'intenzione di farlo, involontariamente.
Ma l'abbiamo fatto.
Abbiamo deciso, inconsciamente o volutamente, di abbassare lo sguardo.
L'abbiamo abbassato al punto tale che il campo visivo ci permette di osservare solamente la ridicola superficie del nostro insulso orticello.
Non riusciamo a scorgere nulla di ciò che accade oltre quella fragile staccionata.
O forse non vogliamo farlo.
Forse non ci interessa.
L'unica cosa che ci preme è che il NOSTRO pezzettino di terra sia perfettamente ordinato, filo d'erba per filo d'erba, senza che si senta il bisogno di prestare interesse ed attenzione a ciò che accade anche solamente a pochi metri di distanza dal nostro piccolo angolo fatto di certezze e punti fermi.
Abbiamo scelto di vivere sperando che QUEL destino non tocchi mai noi e le nostre famiglie, illudendoci che le opportunità alle quali abbiamo avuto la possibilità di accedere solamente per il fatto di essere nati dove siamo nati, e non altrove, restino per sempre un NOSTRO diritto immutabile, saldamente stretto nelle nostre mani.
In Africa ho visto l'inferno, Pesce.
Un inferno chiamato Sierra Leone.
E' un gigantesco pozzo oscuro, sul fondo del quale brilla una piccola luce.
E' una luce che in principio mi era parsa debole, tenue, quasi stanca, ma che col passare del tempo si è fatta più intensa, diventando giorno dopo giorno sempre più intensa, vigorosa, forte.
Una luce generata da Paolo, Gennaro, Simona, Fabio, Silvia, Carmine, Valeria e da tutti gli altri formidabili collaboratori di Emergency.
Un team di personaggi incredibili che hanno deciso di dedicare la propria vita al salvataggio e al miglioramento di quella di poveri disgraziati dimenticati da TUTTO e da TUTTI.
Tu sei al loro fianco, Pesce.
Sei laggiù in Sierra Leone a combattere con loro la più grande delle battaglie perse: quella contro le diseguaglianze sociali, contro la povertà e la miseria, contro gli squilibri presenti in ogni angolo del mondo, contro il disprezzo dei diritti fondamentali di ogni essere umano.
Non lo dico in via metaforica; ci sei veramente, laggiù.
Ci sei matarialmente, al fianco degli altri ragazzi, nell'ospedale di Goderich.
Non lontano dal reparto di chirurgia, infatti, c'è un poster sul quale vengono fatti numerosi ringraziamenti ai tanti sostenitori di quella struttura ospedaliera.
Il primo ringraziamento, in alto, recita queste parole: "Associazione Big Fish".
Ciao Pesce.
Grazie all'incredibile sostegno del vastissimo pubblico della grande famiglia "Big Fish Day", nel ricordo di Mirko "Pesce" Bartolini siamo riusciti a supportare l'ospedale di Emergency a Goderich, in Sierra Leone, con una somma pari a circa 75.000 euro, raccolti durante lo svolgimento di nove feste bellissime ed indimenticabili, a cavallo tra il 2009 ed il 2017.
"I diritti degli uomini devono essere di tutti.
Proprio di tutti.
Altrimenti chiamateli privilegi"
- Gino Strada -
Iapo
LIBANO
Al
confine con la Siria, gli Hezbollah sono un bene o un male?
Scrivere
di questo viaggio è tutt’altro che semplice : ancora oggi a
distanza di 10 giorni mi risulta difficile raccogliere le idee sul
mio vissuto in viaggio. Libano, Paese in guerra perenne prima quella
civile e poi con gli israeliani, Beirut tanto decantata come l’Ibiza
del Medio Oriente, un ottimo esempio di connubio tra Oriente e
Occidente, questo quello che avevo sentito dire.
Beirut,
la capitale, sfarzosa e sfacciatamente benestante, con negozi di
grandi marche, i suoi locali eleganti, i suoi mega centri
commerciali, le donne tutte in tiro che fanno l’aperitivo con le
amiche nei locali trendy, mentre nel tavolo accanto c’è la badante
nera che si occupa di suo figlio ( perché lei “giustamente” si
gode le amiche e il bimbo non deve essere seduto allo stesso tavolo).
Oppure l’uomo che esce dal negozio con la “schiava nera” che
minuta trasporta una scala seguendo il padrone, scene abbastanza
esplicite che non ho gradito.
In
ogni angolo della città ci sono militari armati, li trovi
dappertutto.
Mentre
siamo a Byblos, un giorno decidiamo di affittare una macchina con
autista e visitare Baalbek, sito archeologico molto importante a due
passi dalla Siria, non prima di esserci informati con i libanesi
sulla sicurezza della zona, pare non ci siano problemi. Per ore
guidiamo per la valle del Bekaa, perdendoci svariate volte dato che
in Libano è molto frequente la chiusura improvvisa di strade da
parte dell’esercito. Paesaggio coinvolgente, per km e km non c’è
traccia umana di alcun tipo, ad un certo punto di questo percorso un
po’ onirico, l’autista ci informa che le montagne che vediamo
dopo la vallata è la Siria, non nascondo l’emozione che ho provato
: un misto di agitazione e curiosità, l’adrenalina del rischio, ma
anche il timore per tutte le storie che ho letto in questi anni.
Ennesimo blocco stradale, i militari ci chiedono i passaporti e poi
ci lasciano proseguire. A pochi km notiamo dei campi grandissimi, non
sappiamo dire di cosa, proviamo ad indovinare, ma è impossibile
perché il nostro amico ci informa che sono campi di hashish !!!!
Distese immense di piantagioni a cielo aperto lungo la strada
principale, a pochi passi dai militari che naturalmente sanno tutto,
ma quelle zone sono “abbandonate a se stesse” e la gente si
mantiene con la droga. Poi iniziano i campi profughi siriani e lì la
stretta al cuore, un conto è vederli in tv, l’altra è dal vivo,
povera gente che ha perso tutto e sopravvive in condizioni disumane,
baracche di lamiera, tende sotto il sole rovente e poi ci si chiede
perché questa gente non se ne torna a casa sua … il nostro autista
fa discorsi razzisti sui siriani, perché sono quasi 1.500.000 contro
4.000.000 di libanesi e a suo parere ora è tranquilla la situazione
nel loro Paese quindi se ne possono tornare. Io stizzita controbatto
che questo popolo scappa dalla guerra e non è una loro scelta
evidentemente rimanere in un Paese straniero in quelle condizioni. I
siriani (per lo più venditori ambulanti) che abbiamo incontrato
lungo il viaggio mi hanno colpito molto per la dignità e per la
profondità del loro sguardo.
Arriviamo
finalmente a Baalbek, ci fermiamo in un caffè e davanti a noi
sfilano 4 carri armati stracarichi di soldati e mi chiedo “chi me
lo ha fatto fare a venire qui?”.
Visitiamo
il sito archeologico e devo dire che è incantevole ed è quasi tutto
per noi, ci saranno massimo 10 persone al suo interno.
Ho
avuto svariati dubbi sulla sicurezza di questo viaggio e soprattutto
sulla giornata a Baalbek, è andata bene quindi sono felice di
averlo fatto, anche perché mi ha messo di fronte la realtà di
quella zona, una realtà cruda che mi dato diversi spunti di
riflessione.
E
ora veniamo ad un nuovo capitolo : HEZBOLLAH. Ne avevo sentito
parlare di sfuggita … il “partito di Dio”, organizzazione
criminale a detta di molti, salvatori del Libano secondo altri…
Arrivati a Tyr, cominciamo a vedere delle strane bandiere gialle
accanto a quelle del Libano, vi è rappresentato un kalashnikov e
scopriamo che sono quelle di HEZBOLLAH. Parlando con un signore di
Byblos a favore di Hezbollah, ci dice che loro hanno fermato DAESH
che altrimenti sarebbe entrato in Libano, che l’organizzazione ha
protetto e aiutato la gente. Ci racconta come anni fa, le persone
abbiano cominciato ad armarsi temendo che l’ISIS oltrepassasse il
confine siriano, anche lui si era comprato una pistola. Un giorno
passiamo di fronte un cimitero musulmano, entriamo a dare un’occhiata
e in mezzo a tanto bianco spicca una sezione a parte dove sventolano
bandiere gialle, tombe con strati di plexiglass con le gigantografie
dei martiri di Hezbollah, tombe molto kitsch di ragazzi giovanissimi,
sembra un santuario, mi ha molto colpito molto la devozione che si
respirava in quel posto : tanti fiori, musica da altoparlanti,
addirittura i cofanetti con oggetti cari dei defunti.
Il
Libano terra di “fuoco”, mix di cristiani maroniti, sunniti,
sciiti e drusi, non facile per il traffico estenuante e la spazzatura
incontrollata, terra di sfarzi e campi profughi, ma anche qui ho
intravisto quell’ “umanità” che ci caratterizza tutti e sono
tornata a casa con una nuova lezione di vita.
Cristina
F.
Tutti
coloro che vogliono intervenire con un loro pensiero, argomento,
articolo di viaggio e non, sono invitati calorosamente a farlo. Sarà
pubblicato sul prossimo numero del Graffio del Viaggiatore.
Grazie mille
ilgraffiodelviaggiatore@gmail.com
Grazie mille
ilgraffiodelviaggiatore@gmail.com
PROGETTI
PER LA VITA
Il
mio prossimo viaggio sarà atterrare a Costanza e tornare da Tirana,
per la prima volta non posso pensare di comprare una determinata cosa
dopo, per viaggiare leggero, tanto al massimo la compro in aeroporto,
giusto
per finire la moneta locale, no, a sto giro devo
essere lucido e cogliere l’attimo.
Ivan
Ske
MUSICA
PER CHI VUOLE VEDERE
visto che stanno nascendo negozi di erba senza htc, forse stanno imboccando la società al grande passo...legalize!
RIFLESSIONE
SULLA VITA
Sono
stato ad una conferenza sull’Iran e alla fine dopo le domande del
pubblico ho ringraziato una coppia iraniana dietro di me per
l’accoglienza meravigliosa che ho provato sulla mia pelle del
popolo persiano. Il signore mi ha confermato che circa dieci anni
fa, l’ospitalità era ancora maggiore di oggi. Incredibile più di
quello che ho vissuto io, mi sembra impossibile, visto che io in
trenta giorni, ventidue li ho passati ospite in casa di famiglie
diverse. Dopo lui mi ha guardato e con aria delusa mi ha confessato
che purtroppo quello che manca a loro è proprio l’accoglienza da
parte nostra, anzi a volte sono anche discriminati. Io non sapevo più
come ribattere, sono rimasto di ghiaccio, davanti ad una cruda
realtà… che figura di merda, noi che ci pensiamo un popolo civile
e di progresso, invece non siamo altro che poveri di spirito.
Ivan
Ske
ANGOLO
DELLA BATTUTA
Per
dimenticarci di essere seri
Il
figlio di tramp ormai si è lanciato. Sapete come si chiama:
trampolino
Pino
Bramante
VERSI
LIBERI
Sogno
un viaggio perfetto
dove
tutto fila liscio...
poi
per fortuna mi son svegliato.
Ivan
Ske
I
AM STILL FREE
I sogni e i progetti di chi non vuole smettere di correre...
Scriviamo e lasciamoci andare sempre e ovunque…
I sogni e i progetti di chi non vuole smettere di correre...
Scriviamo e lasciamoci andare sempre e ovunque…
Noi
sappiamo bene che anche il popolo persiano vuole essere libero,
purtroppo non conoscono le conseguenze... diventare burattini
dell'Occidente.
Ivan
Ske
IL
MURO
IL DOLORE PIÙ GRANDE PER UN VIANDANTE È TROVARSI DI FRONTE AD UN MURO AL DI LA DEL QUALE NON PUÒ ANDARE.
IL DOLORE PIÙ GRANDE PER UN VIANDANTE È TROVARSI DI FRONTE AD UN MURO AL DI LA DEL QUALE NON PUÒ ANDARE.
Trump
sotto Putin? Anche questo gioco di
notizie può essere un muro insormontabile. Davvero Putin è riuscito
ha diventare il più potente del mondo, a tal punto di comandare gli
Stati Uniti guidati da un suo servitore: Trump? Incredibile. Solo il
tempo può ostacolare questo muro.
Ivan
Ske
IL
VIAGGIO IMMAGINARIO
IL VIAGGIO IMMAGINARIO È QUELLO CHE HAI SEMPRE SOGNATO E CHE NON HAI MAI REALIZZATO ...
QUELLO CHE PRENDE FORMA DI NOTTE E AL RISVEGLIO SI DISSOLVE NELLA MENTE ...
MA IL VIAGGIO IMMAGINARIO È ANCHE QUELLO DENTRO NOI STESSI
SENZA DUBBIO IL VIAGGIO PIU PERICOLOSO ED AFFASCINANTE SI POSSA FARE ...
QUELLO CHE SCAVA SCAVA TROVI SEMPRE QUALCOSA CHE NON VA IN TE ...
SCAVA SCAVA TROVI SEMPRE STRADE NUOVE ... STRADE CHE PERCORRI CON CORAGGIO E TI CAMBIANO LA VITA ...
UN VIAGGIO CHE TI DA UNA FORZA MAI AVUTA PRIMA ... CHE APRE PORTE IMPOSSIBILI ...
SCONFIGGE ANTICHE PAURE ... E CI AIUTA A CAMBIARE ... A MIGLIORARE
LASCIAMOCI ANDARE AL NOSTRO VIAGGIO IMMAGINARIO ...
MA NON è BISOGNA VOLERLO!
https://www.youtube.com/watch?v=GdxUIZOzd5E&feature=share10
Finalmente
sono a casa in riva al mare, il monsone ha appena lasciato lo spazio
ad un cielo terso, basta nuvoloni e acquazzoni. Il
verde attorno con il passare dei giorni lentamente
scolorisce fino a ingiallirsi, ma è solo la conseguenza del forte
sole che picchia in
questi pochi mesi. Bisogna
ricordarsi l’armonia della natura, non esiste la perfezione e le
conseguenze fanno parte della vita. Lo Yin e lo Yang si uniscono
insieme per poter vivere in armonia, se ne mancasse uno dei due, non
ci sarebbe vita, la vera vita quotidiana. All’alba medito con il
suono soave delle onde mentre il giorno si colora con la sua
meravigliosa luce.
L’unica
strada da percorrere è dentro se stessi, lasciare che il respiro dà
vita alle nostre sensazioni interne e
solo loro possono darci la pace e il giusto equilibrio
con il nostro
corpo e con il cosmo,
l’universo
infinito pronto ogni giorno a darci dei segnali importanti da non
sottovalutare. Mi sento in pace con me stesso, sono sereno e tutto
quello che mi circonda non è diverso da me, siamo tutto e tutti
siamo uno. Tutti
sullo stesso livello, non ci sono differenze di razza, siamo tutti
esseri umani e tutti gli esseri viventi non sono inferiori a nessuno,
tutti insieme a percorrere ognuno il proprio viaggio.
Il Viaggio Immaginario di Ivan Ske
Il Viaggio Immaginario di Ivan Ske
COSE
STRANE DAL MONDO
LE
FOTO DI IVAN SKE
che emozione, un mercantile e tre nazioni navigate
ANGOLO
DEI LIBRI
INVITO ALLA LETTURA
di Ivan Ske
INVITO ALLA LETTURA
di Ivan Ske
CLAUDIO
MAGRIS
DANUBIO
Un
viaggio sentimentale
dalle
sorgenti del grande fiume
fino
al Mar Nero
...vuole
portare all’inesorabile ordine del trattato l’imprevidibilità
del viaggio, l’intrico e la dispersione dei sentieri, la casualità
delle soste, l’incertezza della sera, l’asimmetria di ogni
percorso.
Muoversi,
comunque, è meglio che niente: si guarda dal finestrino del treno
che precipita nel paesaggio, si offre il viso a un po’ di fresco
che scende dagli alberi sul viale, mescolandosi alla gente, e
qualcosa scorre e passa attraverso il corpo, l’aria si infila nei
vestiti, l’io si dilata e si contrae come una medusa, un po’
d’inchiostro trabocca dalla boccetta e si diluisce in un mare color
inchiostro.
Fiume
della melodia.
una
grande energia sorridere
mangiare
il mondo correre all’orizzonte
ruggire
emozionarsi
Non perdiamoci di vista... l’appuntamento è per il Graffio di Giugno
Non perdiamoci di vista... l’appuntamento è per il Graffio di Giugno
e
ricordatevi sempre di chiudere gli occhi e di non smettere mai di
sognare ...
perché il viaggio più bello, si trova nei vostri sogni ...
perché il viaggio più bello, si trova nei vostri sogni ...
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