IL
GRAFFIO DEL VIAGGIATORE
Per
scrittori anarchici …completamente liberi
Anno
3 – Numero 41 – Giugno 2018
IL
GRAFFIO DI GIUGNO
Chai
coffee chai! Chai coffee chai!
Atterraggio.
Sono sul suolo indiano, a New Delhi.
Cambio
gli euro in rupie (mi danno una quantità di lenzuola di carta che
non entrano nel portafogli) e vado verso l’uscita: non è poi così
male…cielo coperto e una sensazione di freddo su tutto il
corpo….sì, freddo e ho capito solo dopo che era perché stavo
iniziando ad evaporare! L’afa è talmente forte che annaspo.
Mi
attende un pulmino scassato ma sempre meglio delle aspettative perché
ero preparata al peggio. Ventilatori sul tetto, madida di sudore
guardo lungo la strada che conduce al mio albergo a vecchia Delhi. Si
trova in una stradina stretta, sporca, affollata, confusionaria e
mille occhi che mi osservano.
La
stanza fa pena, il water è incrostato non so di cosa e nemmeno
Mastro Lindo ce la farebbe, puzza e le lenzuola sono chiazzate ma c’è
l’aria condizionata e l’acqua corrente, mica male, in Africa
questi lussi non me li sognavo nemmeno. Le pale sotto il soffitto
girano senza sosta, l’aria condizionata è troppo forte e ci
rinuncio.
Tutti
girano in risciò o a piedi, trasportano cose sui carretti, vanno in
tutte le direzioni, guidano come i pazzi, si urlano contro dai tuktuk
e suonano i clacson all’impazzata. Mi hanno praticamente mollato a
terra almeno tre volte dicendo che il posto dove dovevo andare era
troppo lontano. Non se ne fregano nulla di nessuno, l’ho già
capito. Qui la sopravvivenza è la sola priorità. Ed ecco i primi
contrasti: Nuova Delhi è fiorita di giardini curati, grandi
alberghi, strade larghe, macchine nuove. Una bambina secca come un
chiodo e il visino sporco di nero fa le contorsioni in mezzo al
traffico e mi guarda con immensi occhi tristi: è bellissima.
Old Delhi invece è un dedalo
infernale di viuzze piene zeppe di gente che va in tutte le direzioni
senza alcun ordine apparente, uomini, bambini, donne, vecchi, mucche,
capre, il tutto è assordante, ti disorienta, ti fa venir voglia di
urlare basta e ti tappi le orecchie, lo smog è asfissiante, la gente
varia e colorata, tutti sono in movimento perenne ma non ti perdono
d’occhio, ti fissano senza discrezione. I sensi sono anestetizzati:
la vista dal viavai incessante, l’olfatto dal fortissimo olezzo di
merda, spezie e frittura, l’udito dal folle clacsonare e dal
vociare di centinaia di esseri, la bocca impastata dall’umidità e
dalla polvere.
Le
case a vecchia Delhi sono fatiscenti, coperte da un groviglio
inestricabile di decine e decine di fili del telefono, della
corrente, dell’illuminazione stradale e chissà cosa altro. I bazar
sono un’esplosione di colori e odori di spezie e incenso.
È
come stare in una sauna, sono di nuovo fradicia.
La
cena all’Ajanti mi rifocilla: veg thali, riso bianco, dhal e roba
piccantissima che mi fa lacrimare. Ma ho fame!!! A ritorno scanso la
gente che dorme in terra per strada e crollo in albergo.
Oh Signore dell’Universo
ascolta questo figlio disperso
Che ha perso il filo e che non sa
dov’è e che non sa
nemmeno più parlare con te
Ho un Cristo che pende sopra al mio
cuscino
E un Buddha sereno sopra il comodino
Conosco
a memoria il cantico delle creature
E ho massimo rispetto delle mille sure
del Corano
C’ho
pure un talismano che me l’ha regalato il mio fratello africano
ed
io lo so che tu da qualche parte ti riveli
che
non sei solamente chiuso dietro ai cieli…
Oramai
il sole è tramontato ma il tempio di Amritsar è tutto d’oro e
illuminato, in mezzo ad uno specchio d’acqua, uno spettacolo
mozzafiato.
Rinuncio
alla fila per entrare al tempio, lo ammiro alla luce del tramonto e
della luna ma nemmeno qui riesco ad immedesimarmi nel misticismo
indiano.
Il viaggiare in treno o in nave, su
grandi distanze, mi ha ridato il senso della vastità del mondo e
soprattutto mi ha fatto riscoprire un’umanità, quella dei più,
quella di cui uno, a forza di volare, dimentica quasi l’esistenza:
l’umanità che si sposta carica di pacchi e bambini, quella cui gli
aerei e tutto il resto passano in ogni senso sopra la testa……d’un
tratto sono costretto a riguardare il mondo come a un intreccio
complicato di paesi divisi da bracci di mare che vanno attraversati,
da fiumi che vanno superati, da frontiere per ognuna delle quali
occorre un visto…spostarsi non è più questione di ore ma di
giorni, di settimane……il treno, con i suoi agi di tempo e di
spazio, rimette addosso la curiosità per i particolari, affina
l’attenzione per quel che si ha intorno, per quel che scorre fuori
del finestrino….sui treni l’umanità con cui si spartiscono i
giorni, i pasti, la noia, non la si incontrerebbe altrimenti e certi
personaggi restano indimenticabili…un paese è anche tutta una sua
diversità e uno deve pure avere il tempo di prepararsi all’incontro,
deve pur far fatica per godere della conquista… (Tiziano
Terzani)
Amritsar –
Jodhpur
Ore
8.15 treno di ritorno a Delhi. Più di otto ore nel nostro primo vero
treno indiano…Senza aria condizionata, con i ventilatori a manetta
sul soffitto, un puzzo indecente e un caldo appiccicoso che non ci ha
mai dato tregua. I treni hanno la prima e la seconda classe, la
differenza è un po’ quella che c’era sul Titanic: la prima
classe
costa mille lire,
la seconda cento, la terza dolore e spavento…. Poi ci sono i vagoni
letto che costano un po’ in più e prevedono la prenotazione dei
posti con nome, cognome ed età. Al momento di salire sul treno,
vedrete un foglio di carta
fissato su ogni carrozza che riporta i dati dei passeggeri e a fianco
di ciascuno il numero di “cuccetta” che gli è stato assegnato!
Al
ritorno a Delhi, ho provato una
sensazione davvero inaspettata: stavolta, nonostante l’afa, Delhi
mi sembra familiare ed accogliente, già “casa”…dopo cena vado
da sola in albergo e quella strada affollata e rumorosa non mi fa più
paura, anzi sorrido alla gente che mi guarda e mi saluta mentre io
rispondo namastè col ghigno soddisfatto di chi si sorprende di se
stesso! È bellissimo. Ci resterei un altro giorno invece mi
attende il treno notturno per Jodhpur: 623 km in 12 ore.
Jodhpur
Io
comincio a star male al mattino presto. Accidenti, mi ha preso il
virus maledetto. L’arrivo a Jodhpur sarebbe stupendo senza questi
crampi che mi tormentano.
A
cena sulla terrazza siamo accompagnati da musica e danza per
festeggiare l’indipendenza indiana. Sto lì ed osservo la
bambinetta ballare. Avrà 10 anni e si muove come una donna. Qui è
tutto diverso da come me l’aspettavo. Questo è un viaggio di
persone più che di luoghi. Sono le persone qui che mi attirano: sono
troppe. Le folle predominano, coprono il resto, il rumore assordante
mi impedisce di concentrarmi sugli aspetti nascosti, i forti e spesso
malsani odori misti all’afa mi stordiscono e non mi permettono di
rallentare il mio ritmo, tutto è molto affannoso…
Jodhpur-Pushkar
Ore
7.30 sveglia e partenza per Pushkar con bus pubblico, 230 km per
circa 5 ore. La pancia va meglio a parte qualche crampo.
Arriviamo
a Pushkar alle 15 circa, sembra un posto di campagna, la strada è
sterrata, ci sono solo vacche e carretti, niente automobili, né
risciò perché è praticamente un morso, un paio di stradine e tanti
negozietti. Fa caldino, l’hotel è molto alla buona, ma le stanze
danno tutte su un giardino e poi è arioso e ci siamo solo noi.
Facciamo subito un giro al lago sacro per gli Indù, consacrato al
dio Brahma,
creatore del mondo. Qui si viene in pellegrinaggio per morire o
rinascere, vediamo i primi ghat (scalinate) e assistiamo alle
preghiere e alle abluzioni. C’è un’infinità di cacca di mucca
sui gradini ma loro ti impongono di toglierti le scarpe, prendere una
manciata di fiori e scendere sulle rive dove dei falsi bramini ti
fanno una specie di benedizione. Ci sono anche le scimmie, che
saltano dovunque, vorrei fermarmi ad osservare la gente ma il gruppo
riparte a piè veloce per visitare il resto del paesino. Non ce la
faccio, stavolta ho bisogno dei miei tempi. Stiamo facendo le corse
ed io non riesco a sentire e a respirare l’atmosfera dei posti,
tutto quello che mi sta rimanendo impresso sono i treni e i bus! Eh
no, così non va bene. Rallento il passo e resto indietro, da sola.
Finalmente. Cammino con lentezza guardandomi intorno e fermandomi ad
ogni metro: la prima sosta è per un chai, il primo preso per strada;
il tizio lo prepara davanti ai miei occhi, fa bollire l’acqua poi
ci versa delle foglioline di tè e continua a far bollire, mi chiede
se ci voglio il latte ed io gli rispondo che lo voglio black, ci
mette un po’ di zucchero e me lo serve in un bicchierino alto si e
no 3 dita (in orizzontale!) ma davvero cocente e profumato! Me lo
gusto camminando, parlo coi mercanti di argento per capire il prezzo
dei gioielli, guardo i vestiti e le gonne lunghe, arrivo al tempio
Indù tutto colorato e ne visito le stanze sotterranee. Me la godo,
ho bisogno dei miei tempi, non trovo facile sottostare a tutti gli
orari e alle corse, vorrei tanto che tutto fosse più rallentato, più
riflessivo…
Pushkar-Jodhpur-Agra
Compriamo
degli oggetti in argento. Non li vendono certo a poco prezzo o forse
noi non siamo brave a contattare ma sono belli, specie i ciondoli e
gli anelli. Camminando mi imbatto in una donna con un bambino
piccolissimo in una sacca a tracolla. Mi dice che ha 26 anni e che
quello è il suo quinto figlio. Le chiedo se è felice per i suoi
figli, io non ne ho nemmeno uno, e lei mi dice di sì, che ha una
bella famiglia ma ha fame…..mi prende sottobraccio e mi porta verso
una di quelle bancarelle che vendono del cibo che io non ho mai
saputo identificare. Arrivano altre tre o quattro donne. A quel punto
mi sento in imbarazzo, bianca riccona, le lascio una bella banconota
e la saluto dicendole di comprarsi ciò che vuole. Mi allontano
pensierosa…non saprò mai cosa davvero pensa e prova una donna
indiana in quelle condizioni. Ma non riesco a non invidiarla, per
essere madre. Pranzo al Baba con riso e limone. Giuro che non ne
posso più. Partenza ore 15 per Jaipur, in bus, circa tre ore, in
“autostrada”, con tanto di sosta ad un “area di servizio” (mi
viene da ridere ma giuro che non so come definirla) e dietro ai
camion che ci superano lungo il tragitto noto che c’è scritto HORN
PLEASE. Suonare per favore. Clacsonare. Questi sono pazzi! Continuo a
ripetermelo: sono matti. Arriviamo a Jaipur e la scena muta
completamente: ci sono i vigili, i semafori, strade larghe ma si
clacsona lo stesso!
Ci
dirigiamo poi in stazione in attesa del treno per Agra che arriva con
un paio di ore di ritardo, ore da incubo. Sarà per il mal di pancia
che si acuisce sempre più, ma non credo di aver mai visto in vita
mia posto più lurido della stazione di Jaipur. La puzza è
insopportabile, il caldo appiccicoso, la gente dorme in terra tra
merda e sputi, i topi sono decine, scorrazzano
tra i binari e poi si avventurano in mezzo ai viaggiatori e alle
valigie poggiate in terra.
Sono
stanca e disgustata e quando il treno arriva crollo per tre ore per
essere svegliata alle 6.30 alla stazione di Agra.
Chai coffee chai! Chai coffee chai!
È il primo suono che si sente al
riaprire degli occhi quando ti svegliano in un treno in indiano.
Agra-Urindavan-Mathura-Agra
Arriviamo
al tempio delle vedove a
Vrindavan. Queste sciagurate,
per la sola colpa di essere sopravvissute ai loro mariti, vengono
ripudiate dalle famiglie e costrette a vivere di preghiere ed
elemosina, ai margini della società. Sono tutte sedute in terra e
cantano, ricoperte da veli bianchi, avvolte in sari bianchi
anch’essi, sono davvero tante, private di ogni dignità e
qualsivoglia diritto. Il tempio è bello ma non riusciamo a capire
cosa faccia la gente, il significato dei loro gesti ci è oscuro. Una
mucca ruba la banana ad una scimmia che resta interdetta ed anche un
pelo spaventata. C’è un tizio con un serpente nel cappello, è il
primo che vedo e appena lui lo punta verso di me inizio a fuggire,
come la scimmia dalla mucca! Mi sento meglio, gli altri se ne
accorgono e mi fanno battutine e sorrisi. Son contenta, per colpa
della mia devastazione fisica non ero ancora riuscita ad
estrinsecarmi. Ce la farò?
Per
molti giorni, per molte miglia,
con
molte spese, per molti paesi,
sono
andato a vedere i monti,
sono
andato a vedere il mare.
Ma
a due passi da casa,
quando
ho aperto gli occhi,
non
ho visto
una
goccia di rugiada
sopra
una spiga di grano.
(Tagore)
Agra-Jansi-Orcha
Ore
5.30 sveglia per andare al Taj Mahal. Alba, brezzolina,
antibiotico. Sono di buonissimo umore, 3 minuti a piedi dal nostro
hotel e siamo all’ingresso del Taj Mahal. È bellissimo, maestoso,
mi dico che sì, ora vale la pena esser venuti fin qui, anche solo
per questo. Gli intarsi nel marmo bianco, i ricami di fiori, le
incisioni, tutto spinto verso il cielo, sempre da guardare a testa
alzata. C’è poca gente, ce lo giriamo tutto in un paio d’ore, i
giardini e le fontane in cui si rispecchia il tempio sono bellissimi,
lo fotografo da ogni angolo, con le nuvole, col sole, riflesso
nell’acqua, poi ci sediamo a terra a riposare, guardando il fiume e
ci sentiamo leggeri…..non abbiamo bisogno di parole, siamo tutti
lì, uno accanto all’altro, e stiamo bene…insieme. Sarà perché
è un monumento all’amore, perché è imponente ma fa effetto. Per
la prima volta sono emozionata. E per la prima volta sento il gruppo
unito.
L’Agra
Fort è
un insieme di residenze reali dentro le mura, molto belle, fotografo
una fanciulla bellissima, vestita di nero e argento, che cammina a
passi leggeri come se fosse lì lì per salire sul tappeto volante
del suo principe. Un’oretta e anche il Forte è nostro, visitato,
divorato, adesso abbiamo fame di altro e decidiamo per il piccolo Taj
Mahal, dall’altra parte del fiume. Prendiamo i tuktuk stavolta,
abbandonando i romantici fantastici risciò, e passiamo sul ponte di
ferro che unisce le due parti della città di Agra. Su di noi passava
un treno merci con un assordante rumore di ferraglia, i nostri tuktuk
si incrociavano, tra la polvere, con moto, carretti trainati da buoi,
gente a piedi, risciò, e tutti addosso a tutti, in un tripudio di
vita senza riposo per occhi ed orecchie. Bellissimo. Eccitante. Il
piccolo Taj Mahal è una piccola meraviglia di marmi intarsiati,
cupolette, finestre ricamate con motivi arabeggianti da cui filtra la
luce, che tanto mi affascinano e mi fanno pensare alla tristezza
degli occhi che potevano gettare uno sguardo sul mondo solo
attraverso quei fori. Altro tuktuk, si riattraversa il ponte della
meraviglia e ci si rimette in viaggio. Alla stazione di Agra facciamo
volare dei palloncini e vediamo alzarsi in salti e sorrisi anche i
bimbi fino a poco tempo prima seduti sui binari. Il treno per Jansi
ha l’aria condizionata e si viaggia da Dio, ops da Shiva.
Orcha
- Kajurao
Sveglia
ore 8, colazione e giro per Orcha.
Orcha
è immersa in una fittissima vegetazione, l’affollamento di Delhi e
Agra è lontano anni luce. Il palazzo reale è un dedalo di stanze,
cunicoli, scale che salgono e scendono tra i vari livelli, da una
guglia all’altra, mi sembra di essere, anzi sì, sono in una
litografia di Escher, è davvero incredibile, lo percorro in ogni
anfratto per scoprire altre vie, è enorme.
Nella
piazzetta di Orcha ci sono tanti vecchietti figli dei fiori con abiti
coloratissimi, seduti in terra che fumano e suonano, cantano e
chiedono la carità. C’è molta umidità,
si respira a fatica. Lo so, non è una novità.
Si
va a Khajuraho. 5 ore e mezza
di viaggio per 290 km con tanto di foratura di gomma ma è stato
davvero piacevole, ho finalmente provato la sensazione del viaggio
dello spirito, del silenzio. La strada è un sentiero nel verde, il
cielo è grigio piombo, le nuvole, nere e veloci, sono cariche di
pioggia che inizia a venir giù proprio quando ci fermiamo su di un
ponte a guardare un’enorme diga sul fiume. Giù, sotto il ponte,
qualche centinaio di metri sotto di noi, ci sono due ragazzini che
camminano lungo il greto del fiume. Ci guardano e sorridono. Ci
rimettiamo in jeep giusto in tempo per evitare il nostro primo
monsone. E pensare che prima di partire questa parola mi faceva così
paura! È pioggia, viene giù fitta e violenta ma è solo pioggia,
che al riparo puoi osservare con serenità, perché ha un suo fascino
intenso, è bella la pioggia quando ti avvicina il cielo che si
abbassa sempre più. Ma poi smette. E noi buchiamo, un’altra volta.
Ci fermiamo, facciamo la riparazione. Mancano 33 km a Khajuraho,
quando la jeep che ci precede frena di colpo e qualcuno si accorge
che è volato giù un bagaglio. Indovina? Era il mio zaino!!! Caz, se
Andre non se ne fosse accorto avrei passato il resto della mia
vacanza con le stesse mutande. Sai che strizza! Invece anche questa è
superata. Tutto sotto controllo!
Khajuraho
Alle
9 appuntamento con la guida per visitare i templi di Khajuraho in una
specie di Valle dei Templi agrigentina. Stamattina fa davvero troppo
caldo, la pioggia di ieri ha creato un’umidità estrema, abbiamo
k-way e ombrello e
invece spunta un fortissimo sole che ci abbrustolisce tutti! Ma
resistiamo ammirando le sculture dei templi indiani. Quanto me li
sono immaginati, anzi ci pensavo ma non riuscivo ad immaginarmeli,
conoscevo quelli tibetani ma mai e poi mai avrei potuto pensare che
non ci fossero altro che rappresentazioni del Kamasutra! La guida
tutta compresa nel suo ruolo ci descrive ogni singola posizione,
parlando di coniugare il piacere fisico e il nirvana, spiegandoci dei
vari dei e delle loro caratteristiche ma non riusciamo a restare seri
molto a lungo, è inevitabile che scatti la serie di battutine e
risate sotto questo sole nefasto, in cerca della tanto anelata
spiritualità indiana. E scusateci, ma proprio non se ne può più!
Diciamocela tutta. Qui di spirituale c’è davvero poco ed io
continuo a pensare a quando mi dicevano
che non ci si può abbracciare. Eccerto!!! Hanno i templi con tutte
le statuine in fila indiana (ecco perché si dice così!!!!) capre,
tori, uomini, eunuchi, donne, elefanti, cani e chi più ne ha più ne
metta, tutti uniti l’uno all’altro, in qualche modo, senza
soluzione di continuità. Mi sono spiegata??? Se non altro realizzo
che c’è sempre da imparare, che lo yoga serve e che posso essere
sulla buona strada per raggiungere il Nirvana.
Khajuraho-Santa
Varanasi
Prendiamo
le bici e partiamo alla scoperta del villaggio e delle campagne di
Khajuraho. Era così tanto che desideravo andare in bici e questo
giro è bellissimo: piccoli sentieri dissestati, capre, donne con
vasi in testa, bimbi che ti inseguono, insidiose piramidi di letame
di vacca, pozzanghere di liquami vari, ragazzi che ti tormentano per
farti entrare nelle loro botteghe, ponticelli improvvisati su corsi
d’acqua. Dopo un’oretta inizio ad accusare il colpo. Fa caldo,
non ho fiato e mi fanno male le gambe, ma loro vanno, vanno,
accidenti son vecchia e fracica io o cosa? Ma reggo, mi piace troppo,
un’altra ora fino a che non scoviamo altri templi e ricomincia a
piovere.
Ore
15 bus per Satna, da dove prenderemo il treno per Varanasi. Piove di
nuovo che Shiva la manda. Alla bus station si vedono scene di
disperazione di alcune donne per la partenza di un’amica, per poco
non si strappano i capelli, urlano, si battono il petto ma appena la
tipa sale sul bus tutto si placa, di punto in bianco. Ci guardiamo
esterrefatti. Evidentemente è una forma di saluto per mostrare
dispiacere. Gli uomini, invece, caricano sacchi e casse sui tetti dei
bus, e anche i nostri bagagli. Io trepido ogni volta e prego che li
leghino bene e li coprano coi teloni, in difesa dal monsone. In bus
mi siedo vicino a Guru e passiamo tutto il tempo a guardar fuori e a
chiacchierare del viaggio e delle nostre sensazioni. A volte è così
facile comunicare e così le 5 ore volano. Arriviamo a Satna in
ritardo ma siamo bravissimi, montiamo sui tuktuk con una capacità di
organizzazione ed una velocità da giochi senza frontiere e in 10
minuti siamo alla stazione dove scopriamo che il nostro treno è in
ritardo di un’ora. Ma poi arriva. 480 km per 9 ore. Lurido come
sempre, sono rassegnata, preparo la mia cuccetta (si fa per dire) e
scrivo il diario mentre Zumbina sclera e dice che avrà bisogno di un
anno di terapia per dimenticare tutta questa merda! Ci pieghiamo in
due dalle risate, io ho le lacrime agli occhi e quando torna dal
bagno e urla: “Ma come cazzo ci è salita
la mucca qui sopra???
Arrivo
a Varanasi ore 8 circa.
L’impatto
con la stazione è quello di sempre: scendi dal treno e non respiri
dall’afa, c’è un sacco di gente in terra ma qui c’è la novità
che brucia qualcosa, sembra carbone. I tuktuk fanno la solita ressa
per caricarci ed io li ammazzerei. Non sono la sola a sentire la
voglia di prenderli a mazzate. Il nostro hotel è carino, affaccia su
un ghat da dove ammiriamo un bellissimo scorcio di Varanasi sul Ganga
River e iniziamo e vedere la gente fare le famose abluzioni e la
puja. Conosciuta come Benares, il nome che porta è un ritorno al suo
antico appellativo di “città tra due fiumi”, il Varauana e
l’Asi. La Madre Ganga si incurva a mezzaluna quando passa per
Benares. Lungo le gradinate scendono milioni di aspiranti ad una
morte che liberi dal ciclo delle reincarnazioni. È un tripudio di
colori, suoni, contrasti. Mi aspetto molto da questa città, mi
aspetto di trovar qui tutto quello che cercavo in India ma visto come
mi sento direi che cominciamo male.
Mi
faccio un primo giro in solitaria per i vicoli. Gli odori sono forti,
rigagnoli di scolo portano con se’ di tutto, coppette del chai,
stracci, scarti di cibo, qualche ratto morto, per poi infilarsi,
sempre più prepotenti, nella madre Ganga. Alle 14.30 arriva il
bramino che ci farà da guida e passiamo quattro ore con lui alla
scoperta di Benares: templi, stradine piene di gente, letame e
vacche, buoi che a volte corrono all’impazzata e per poco non ti
travolgono. Il bramino ci spiega i riti indu, ci porta in un negozio
ad acquistare tessuti in seta, ci fa passeggiare giù per i ghat dove
sfioriamo il Gange fino a sentirne l’odore: il sole è quasi
tramontato, c’è qualcuno che lava i vestiti, chi trasporta un
morto verso le pire, il fumo sale ma lo vedo solo da lontano e
preferisco così.
La
morte dicono faccia parte della vita: è quasi una festa perché loro
credono nella reincarnazione….mah, io so solo che quando uno se ne
va poi non torna mai più, non lo rivedrai più e questo mi fa male.
C’è un’umidità che ammazza, snerva, sono costantemente
grondante di sudore. A cena mi sparo un piatto di patate fritte per
scacciare il pensiero della morte e godere appieno della vita, poi
cerco un posto tranquillo per scrivere e pensare ma non c’è nulla
da fare, arrivano tutti sul terrazzino panoramico e allora mi
allontano, stasera sono asociale e cerco solitudine, sotto le stelle.
Scendo giù al giardino e mi metto seduta davanti al Gange. Non è la
sacralità di questo fiume che mi colpisce…è la sua leggenda, la
sua storia, il suo fluire così carico di vita e di morte. L’acqua
ha sempre un forte potere su di me. Un fiume, il mare, il cambiamento
continuo nel suo restare uguale a sé, sempre. Perciò stasera sto
bene. C’è finalmente il fiume. L’acqua trova da sola la via al
mare. L’aria cosparsa di fumi soffoca spiriti, fiacca anime e dona
la vita. Uno storpio deforme contende la sua cena a bastardi randagi.
Una coppia di amanti si corteggia incurante del mondo, del suo
significato e della sua fine. Un fiume, gigante d’acqua
imperturbabile, trasporta silenzioso il suo carico di morte e di
rinascita. Speranza che corre, speranza che si consuma. Solcando
campagne buie costeggia roghi infernali, ne raccoglie le ceneri e i
canti di dolore.
Il
secondo giorno a Varanasi è molto intenso. Sveglia alle 5 per
andare, in barca, a vedere l’alba sul Gange e la puja. Costeggiamo
i ghat lungo i quali la città, al suono delle campane, prende vita,
una vita frenetica sin dalle prime luci dell’alba. La corrente del
Gange causa un’immane fatica ai rematori quando risalgono il fiume
ma al ritorno invece è il fiume stesso a riportarci indietro per
ridarci quel che ci aveva tolto. Tutti scendono a riva, un popolo
colorato e rumoroso, si spogliano, lavano gli indumenti e poi si
insaponano, si lavano i denti con estrema cura, pregano (o pujano,
come dice Zampa) insomma, nella loro paradossale situazione questi
indiani sono davvero puliti! I ghat sono un tripudio di abiti
colorati, il giallo e l’arancio risaltano, sari che fasciano donne
affaticate nel lavarsi tra i veli, canti, preci, fumo, barche.
Mi
sento molto debole ma mi unisco agli altri nel pomeriggio per andare
a Sarnath a visitare i templi tibetani e un piccolo zoo con Prakash,
il figlio del bramino. Mi è piaciuto questo tour: preferisco Buddha
a Shiva e al suo lingham! Da lì ci dirigiamo alla zona araba della
città con fabbriche tessili in cui sono rintanati bambini che ci
lavorano 12 ore al giorno per una misera paga (circa 40 euro al
mese!). Il rumore che fanno i telai è assordante già dalla strada,
dentro è l’inferno. Tessono stoffe e ricamano broccati, ti
sorridono e salutano. Mi si stringe il cuore ma è inutile anche
dirlo. La giornata prosegue con corsa alla guest house Shanti per la
lezione di Yoga delle ore 8. Siamo sfiniti ma la terrazza panoramica
ci offre un bellissimo scorcio di Varanasi al tramonto e il silenzio
della lontananza dalla folla
anche se le scimmie sono arrivate fin lassù per spiarci. In realtà
lo spettacolo è esilarante. Provo a spiegare ai ragazzi che devono
respirare solo con la pancia e fare movimenti lenti senza forzare. Ma
appena il maestro ci fa fare la meditazione con la frase “Oooom
nama Shiva”
non ce la facciamo a restare seri e al momento di saltellare si
sentono le risate soffocate di qualcuno. Io
cerco di restare seria ma nonostante la stanchezza trovo che questa
sia una delle cose più divertenti fatte finora!
Il
bramino torna per portarci a vedere le cremazioni al ghat.
Ridiscendi, c’ho le gambe a pezzettoni, vorrei tornarmene
all’albergo ma è buio e a Varanasi non puoi girare da solo, è un
labirinto senza uscita. Accidenti, mi toccano le pire. Ce ne sono
quattro o più, il fumo riempie l’aria della notte, dall’odore
acre, e le scintille delle fiamme saltellano sullo sfondo del cielo
scuro mentre le campane suonano e un gruppo di soli uomini circonda
la pira, in attesa di veder svanire tra le fiamme i loro morti. Alle
donne non è permesso partecipare. Ho guardato e ho visto i resti di
un corpo in fiamme e due piedi penzoloni che bruciavano e lì mi sono
arresa, ho cercato rifugio sulle scale del ghat rivolta verso il
Gange con un sapore di lacrime e sudore. Lo “spettacolo” della
morte resta sempre una prima visione, per quanto ci si sia abituati è
sempre una sorpresa, stordisce, aliena. E poi siamo andati a mangiare
del cibo pessimo dopo una lunga attesa.
Why worry
there should be
laughter after pain
There should be
sunshine after rain
So why worry
now….why worry now…
Varanasi-Calcutta-Bubaneshwar
Ore 9 circa
arriviamo a Calcutta. Chai coffee chaaai! Chaaai coffeee chai! Le
poche forze che ho le concentro tutte sul percorso per arrivare al
taxi. Fuori della stazione ci sono lunghe code di taxi gialli,
incolonnati in un ingorgo senza soluzione di continuità! Non vedo
risciò, niente tuk tuk, che strano siamo arrivati in un posto
completamente diverso da quelli visti finora. Al Garib Nawaz le
stanze fanno davvero pena ed una ha un grande cagatone nel mezzo di
un letto matrimoniale. Ovvio, la prima cosa che pensiamo è: come
diamine ci è arrivata una mucca in questa stanza????
Calcutta è
esattamente l’opposto di ciò che ci aspettavamo. Quasi una città
occidentale, una boccata d’aria, persino rilassante a momenti.
Tutto quello cui ci eravamo disabituati qui ritorna: strade ampie,
asfaltate, vigili, niente mucche né capre per strada, niente tuktuk
ma qualche risciò tirato da omini a piedi, palazzi alti, nuovi,
classica città post-coloniale, che beneficia ancora di ciò che i
signori invasori hanno lasciato della loro cultura occidentale. Hanno
addirittura il loro bridge sul Gange, tutto in ferro, molto più
imponente della Tour Eiffel e di cui i calcuttesi (?) vanno
orgogliosissimi. E la metro, recente, pulita, alquanto efficiente. La
stazione è ampia, pavimentata. Ci ritroviamo lì alle 21 per
ripartire, dopo solo 12 ore di tregua. Il treno delle 22.30 ci
porterà a Bhubaneshwar. 390 km da percorrere in 8 ore.
Chai coffee
chai!
Ore 6 arrivo a
Bhuba giusto il tempo di una doccia e colazione e arriva il pulmino
che ci porterà in Orissa. Si gronda dal caldo, siamo in mezzo al
verde, l’umidità è pluviale. Si parte alle 10 per Baliguda, altro
trasferimento bello tosto, 350 km, ci metteremo più di 7 ore in
tutto. Dopo le prime 4 ore di bus facciamo una sosta per mangiare
mentre piove a dirotto. Ho mal di pancia (ancora!!!) e chiedo del
bagno alla nostra guida, un antropologo di nome Srikant, e lui mi dà
un ombrello, mi indica il retro della baracca e mi dice: “Bush
Toilet!” Dopo un attimo di smarrimento e voglia di urlare, gli
sorrido e depongo le armi. Ha ragione lui, perché disperarsi? La
bush toilet è più pulita dei bagni comuni e non puzza! ….tutto
sommato comodo!
Il pasto ci
viene servito su piatti di foglie giganti intrecciate ed è
buonissimo: riso, verdure fritte, puré, anelli di pesce fritto e
birra. Poi altre 4 ore di jeep.
Bubaneshwar-Baliguda
(Trek)
Partenza ore 8 per i villaggi. Ripeto FINALMENTE! Nonostante la fatica sono nel posto che più mi è piaciuto in tutto il viaggio. Natura e basta (vorrei dire incontaminata ma non so se per l’inquinamento dell’India questo aggettivo sia adeguato), il verde ha mille sfumature, alture, risaie, corsi d’acqua, villaggi di capanne con le donne dal viso tatuato della tribù dei Konda, bimbi sorridenti che ci inseguono e giocano con noi, agnellini, caprette e donne che trasportano acqua sulla testa con una postura così eretta che sembrano non facciano alcuno sforzo, vestite di verde come a mimetizzarsi con questa natura così benevola e avvolgente, silenziosa, paziente. Bellissimo. Respiro e mi riempio gli occhi e l’anima di tutta questa pace. Srikant è molto colto e ci spiega tante cose. È un piacere ascoltarlo. L’autista della jeep ci tormenta con una cassetta di musica indiana alquanto lamentevole. Cavoli, c’è la prima canzone della cassetta lato A che dura tipo 50 minuti! E ripete sempre la stessa strofa!!! Aiutoooooo!!!! Nel pomeriggio visitiamo una scuola, i bimbi sono seduti in terra e le loro sacche di tela servono da piano per poggiare i quaderni, hanno i grembiulini azzurri e i piedi scalzi. Vorrei farli vedere ai miei alunni che si lamentano quando nell’aula manca l’attaccapanni!
Là
dove cielo e terra s’incontrano, nuvole danzano avvinghiate agli
spiriti della foresta. Rocce di un nero mortale emergono dal mantello
verde della dea terra mentre frammenti di montagne vengono cancellati
da un creatore beffardo. Ed io gioco in questo scenario. Volteggio
tra le cime, mi bagno della rugiada degli alberi. Sorrido al sole
scherzoso ed accarezzo l’inconsistenza di fantasmi alati.
Una
campagna lussureggiante, come ancella di proibiti misteri, finalmente
toglie i veli che nascondono il suo tesoro. Respiro acqua e trasudo
melodie ma improbabili guardiani controllano il fluire della vita.
Legno umido, foglie traslucide, fiumi come di cioccolato e disegni di
vite vissute in altri tempi compaiono da più punti lasciando
intravedere scorci proibiti. Come poter non gioire di questa danza
ultraterrena? Se degli insetti modellano la terra per innalzare
colonne al cielo, se vene d’acqua corrono precipitosamente, se
alberi differenti sopravvivono in simbiosi in un amplesso intricato
di rami e linfe, se spicchi di cielo adornano il suolo umido, io non
posso e non devo rimanere spettatore. Devo entrare come attore in
tale rappresentazione: spero di essere degno dell’opera perché in
essa risiede parte della mia gioia d’essere.
Baliguda-Ragayada
Ore
7 partenza per Ragayada. 280 km. Giro in un mercatino di spezie e
pesce, verdure e frittelle.
Poi
ci rimettiamo in viaggio verso altri villaggi in cima ad una
montagna. Dunque, la jeep ci lascia e noi ci incamminiamo per il
trekking con una guida che si perde un paio di volte e intanto inizia
a piovere, tiriamo fuori i kway ma dio come piove! L’avevo
desiderato il monsone, volevo bagnarmi fino alle ossa, l’avevo
detto, per sentirmi parte del tutto, ebbene così è stato. L’acqua
scende copiosa, le gocce penetrano tra le cuciture del kway, il cielo
è grigio, il verde è intenso ma velato da questo fitto sipario di
acqua sempre più abbondante. Sento i vestiti bagnarsi velocemente,
la strada è in salita, resto ultima come sempre ma c’è Guru che
butta un occhio, poi rallenta per tenere il mio passo. Amico.
Ad
un guado ci fermiamo. L’acqua viene giù violenta e la guida è
incerta sul cosa fare. Io preferirei tornare indietro ma il villaggio
è vicinissimo, appena al di là dell’ostacolo. Così facciamo
catena e attraversiamo il torrente camminando con l’acqua alle
ginocchia. Oramai, bagnato per bagnato. Ed ecco il villaggio, gli
altri sono già riparati con gli indigeni sotto le basse capanne di
paglia, gli uomini hanno i capelli lunghi e le donne gli orecchini al
naso e dei gioielli nei capelli. Vogliono a tutti i costi venderci i
loro manufatti, dovunque andiamo siamo tormentati. Non so che darei
per vedere una tribù intenta alla sua vita quotidiana piuttosto che
questi gruppi già preparati a ricevere i turisti per recitare una
parte e poi spillargli money. Ma chi non lo farebbe?
Sono
infreddolita da morire, non sentivo il freddo da tanto! Di nuovo giù
per i sentieri e di nuovo jeep verso l’albergo. Gonna lunga e
maglia a maniche lunghe per recuperare calore. Cena e notte di lotta
con le maledette zanzare.
Baliguda-Gopalpur
Partenza
ore 7 per Gopalpur-on-sea. 320 km in 9 ore, il trasferimento è
estenuante e 10 ore in quella jeep snerverebbero pure un Santone che
ha raggiunto il Nirvana! Vediamo il mare alle sei di sera che non ci
pare vero! Corro sulla sabbia, mi levo le scarpe, metto i piedi
nell’acqua calda, scura e mossa. Foto
al faro e ci rilassiamo. La spiaggia non è granché ma lo sapevamo
che questo non era propriamente un luogo turistico per fare vacanza
di mare. Fa nulla ci accontentiamo. Cena di pesce, giro notturno in
spiaggia e finalmente sento il rumore del mare.
Gopalpur-Calcutta
Mi
alzo con calma, faccio doccia e colazione e vado in spiaggia ma il
mare se l’è mangiata tutta e così mi siedo sulle scale ma fa già
un caldo insopportabile e sono solo le 8.30 del mattino! Qualche
barchetta con la tipica vela quadrata indiana taglia l’orizzonte e
gli schizzi della battigia mi bagnano il viso di salsedine. In
lontananza un gruppo di bimbi gioca tra le onde, sembra una colonia.
Ci
sono delle donne che iniziano a spalare e caricare pietre in una
specie di betoniera…che lavoro tosto, ed io che mi lamento per il
caldo! Il nostro viaggio è ancora una volta estenuante. Arriviamo a
Konark nel pomeriggio, fa troppo caldo. Visitiamo la Pagoda Nera e la
guida ci spiega le solite statue e immagini del kamasutra, è
incredibile, anche qui come Khajuraho!!! Ci pieghiamo dalle risate,
la guida fa la corte a Catarì ma ha una camicia che ci avrà
mangiato su e ci si sarò pure pulito il fondoschiena, con rispetto
parlando, come dicono le nonne! I suoi denti poi appartenevano a
qualche mummia, mi sa… Ritorno a Bhuba al ristorante e poi treno
notturno per Calcutta. 670 km….lurido, pieno zeppo ma ero cotta, ho
dormito e l’ultima notte in treno è passata!
Ore
6 arrivo a Calcutta.
Chai
coffee chai! Chaaai coffee chai!
Siamo
andate alla casa di Madre Teresa ed è stato molto emozionante.
Abbiamo lasciato una donazione, chiesto se potevamo essere di aiuto
ma erano al completo e poi abbiamo seguito un bimbo che ci ha portati
in un posto dove gli abbiamo comprato del latte in polvere, su sua
esplicita ed insistente richiesta. Poi siamo andate a visitare il
Marble Palace, un palazzo di un tizio che ha collezionato oggetti
d’arte e di antiquariato da tutta l’Europa, molto kitch ma
carino.
Visitiamo
la libreria e New Market dove
abbiamo fatto sera a vagare tra le decine di bancarelle della frutta,
argenterie e botteghe varie. Si è fatto buio e di corsa siamo
tornate in albergo per andare a cena con gli altri. Solo che poi ci
siamo perse e sono venuti a recuperarci. La cena era sulla terrazza
di un grattacielo, si è mangiato bene ma quando sono andata al bagno
era occupato da un topolone di città che non faceva complimenti.
Pure al 30esimo piano??? Mah! Quest’India non finirà mai di
stupirmi.
Homeward
bound
I
wish I was
Homeward bound
Home,
where my thought's escaping
Home,
where my music's playing
Home,
where my love lies waiting
Silently
for me.
I shall be telling this with a sigh
Somewhere
ages and ages hence:
Two roads diverged in a wood, and I—
I took the one less travelled by
And that has made all the difference.
Questa
storia racconterò con un sospiro
Chissà
dove tra molto tempo:
divergevano due strade in un bosco e
io…
io
presi quella meno battuta e questo ha fatto la differenza.
Irene
M.
Tutti
coloro che vogliono intervenire con un loro pensiero, argomento,
articolo di viaggio e non, sono invitati calorosamente a farlo. Sarà
pubblicato sul prossimo numero del Graffio del Viaggiatore.
Grazie mille
ilgraffiodelviaggiatore@gmail.com
Grazie mille
ilgraffiodelviaggiatore@gmail.com
PROGETTI
PER LA VITA
Ho
un nuovo business in mano, questa volta mi hanno presentato un
progetto per coltivare funghi nella mia amata terra, Filippine.
Ivan
Ske
MUSICA PER CHI VUOLE VEDERE
"Oro
mi maio" canzone brasiliana di cui Jovanotti ha preso l’armonia per
Viva la libertà.
Max M.
RIFLESSIONE
SULLA VITA
PENSANDO
A TE
Scende
una lacrima, lentamente scivola liscia, la sento sentire sulla
guancia docile fino all’angolo della bocca e con la lingua la
riporto dentro...dentro di me
è
la prima lacrima dopo due mesi e non voglio perderla.
Ivan
Ske
LEZIONE DI VIAGGIO
Dopo un lungo lungo viaggio di quattro Paesi: Vietnam, Thailandia, Laos
e Taiwan. Non ho trovato nulla ma il vuoto nel mio cuore.
"Approfondimenti di saggezza ...ci permettono di vedere il vuoto e
l'insoddisfazione fondamentale di una vita dedicata principalmente al
perseguimento di fini materiali, a trascurare lo spirituale.
Una tale vita pone necessariamente l'uomo contro l'uomo e la nazione contro
la nazione, perché i bisogni dell’uomo sono infiniti e l'infinito può essere
raggiunto solo nel regno spirituale, mai nella materia."
"E' un fatto che non importa quanto sia gratificante il senso di una persona,
non sarà mai soddisfatto.
Il cibo materiale, le cose materiali, la gratificazione dei sensi materiali
non possono soddisfare l'atma (anima spirituale).
L'anima spirituale ha bisogno di cibo spirituale: cercare di soddisfare la
propria brama spirituale con le cose materiali porta a consumo, avidità,
invidia, violenza e guerre infinite.
Gli occidentali hanno la stessa gratificazione dei sensi che si potrebbe
desiderare, ma non sono soddisfatti. Perché sono spiritualmente vuoti. "
Danvantari
dalle Filippine
ANGOLO
DELLA BATTUTA
Per
dimenticarci di essere seri
Sai
come si chiama l’uomo che fa il formaggio?
Sì,
il pastore.
No…
provolone!
Sai
come si chiama l’uomo che fa il pesce ad una donna?
Si,
cuoco.
No…
baccalà!
Pino
Bramante
VERSI
LIBERI
Viaggio
Saggio
Viaggio
saggiamente
per liberare la mente.
Ivan
Ske
I AM STILL FREE
I sogni e i progetti di chi non vuole smettere di correre...
Scriviamo e lasciamoci andare sempre e ovunque…
Viaggiare con il cuore significa partire senza condizionamenti politici, mai e poi mai un vero viaggiatore si farebbe influenzare da un governo mal governante o dalle sue rigide leggi. Il vero viaggiatore lo va a scoprire da sé.
Ivan
Ske
IL
MURO
IL DOLORE PIÙ GRANDE PER UN VIANDANTE È TROVARSI DI FRONTE AD UN MURO AL DI LA DEL QUALE NON PUÒ ANDARE.
IL DOLORE PIÙ GRANDE PER UN VIANDANTE È TROVARSI DI FRONTE AD UN MURO AL DI LA DEL QUALE NON PUÒ ANDARE.
Susy
IL VIAGGIO IMMAGINARIO
IL VIAGGIO IMMAGINARIO È QUELLO CHE HAI SEMPRE SOGNATO E CHE NON HAI MAI REALIZZATO ...
QUELLO CHE PRENDE FORMA DI NOTTE E AL RISVEGLIO SI DISSOLVE NELLA MENTE ...
MA IL VIAGGIO IMMAGINARIO È ANCHE QUELLO DENTRO NOI STESSI
SENZA DUBBIO IL VIAGGIO PIU' PERICOLOSO ED AFFASCINANTE SI POSSA FARE ...
QUELLO CHE SCAVA SCAVA TROVI SEMPRE QUALCOSA CHE NON VA IN TE ...
SCAVA SCAVA TROVI SEMPRE STRADE NUOVE ... STRADE CHE PERCORRI CON CORAGGIO E TI CAMBIANO LA VITA ...
UN VIAGGIO CHE TI DA UNA FORZA MAI AVUTA PRIMA ... CHE APRE PORTE IMPOSSIBILI ...
SCONFIGGE ANTICHE PAURE ... E CI AIUTA A CAMBIARE ... A MIGLIORARE
LASCIAMOCI ANDARE AL NOSTRO VIAGGIO IMMAGINARIO ...
MA NON è BISOGNA VOLERLO!
https://www.youtube.com/watch?v=GdxUIZOzd5E&feature=share10
CIAO
CARISSIMO
Da
uomo comune aspetto le ferie in bacheca ed escono troppo tardi per
volare oltreoceano così decido
di
partire per il grande nord per ammirare il sole di mezzanotte.
Atterro
a Oslo e scappo subito da una delle città più care del mondo per
visitare i famosi fiordi norvegesi a
Bergen. E’ davvero molto cara, sia per mangiare che per dormire. Io
mi arrangio con la mia amaca legata ai tantissimi pini. La
temperatura mite del giorno - buffo perché la notte non esiste –
scende fino a 10 gradi e patisco un freddo tremendo.
Non
demordo e continuo il viaggio fino a Tromso, fiero di essere nel
circolo polare artico, ma
qui
la notte, si fa per dire, diventa
terribilmente fredda per dormire all’addiaccio. Nota città per la
splendida aurora boreale, gli alloggi non sono al mio budget e tiro
fuori di nuovo la mia amaca infreddolita e dormo sotto un sole
all’orizzonte. E’ un’emozione strana, la luna non si vede mai
in questi mesi estivi e il sole perenne mi confonde il mio ritmo
biologico di sonno mentre
tutte le strutture chiudono agli soliti orari. Non riesco a chiudere
occhio con il sole in faccia e purtroppo non ho una tapparella, una
persiana o una tenda e mi rannicchio dentro l’amaca per nascondere
la luce e specialmente per il forte vento gelato. Tremo tutta la
“notte” per
il gelo. Alla mattina mi sveglio che il sole si
è
leggermente
alzato
e mi accorgo che non smetto un attimo di tossire. Ho una tosse
fortissima e un mal di gola infernale. Nonostante sono leggermente
ammalato continuo fino a Capo Nord. Quando arrivo alla gigante sfera
che rappresenta il mondo, simbolo di Capo Nord, avvisto sulla
sinistra, una lingua di terra spostata di poco più a nord, quello sì
è il vero punto più a nord della Norvegia,
a parte le isole Svalbard.
Anche
se è
tardi
e non ci sono strade mi incammino in un trekking sui sentieri
rocciosi, ma
pianeggianti. Arrivato a Nordkap ammiro la bellezza infinita della
fine della terra continentale. Oltre al Mare di Barents, uno crede ci
sia l’Artico, invece ci sono appunto le isole Svalbard e solo
dopo
il Mare Glaciale Artico, il Polo Nord. Non
posso più tornare indietro le mie forze sono
esaurite.
In
questa zona estrema non c’è neanche un albero per la mia amaca,
sono costretto a dormire a terra, mi sento la febbre salire, ho
i brividi di freddo in tutto il corpo, inizio
a delirare, a
piangere dal dolore, sono totalmente a pezzi, non ce la faccio
neanche a
fare un passo. Nei dintorni non c’è un’anima viva, la smania di
andare altrove, oltre ai turisti, questa volta me la farà pagare
cara, molto più cara della vita in Norvegia. Ora il prezzo da pagare
è la mia salute, la mia vita. Ho sbalzi di umore, a volte delirio e
a volte sono contento, piango e rido quasi allo stesso momento. Non
mi riconosco più, il cervello ha preso il sopravvento. Oramai è
chiaro che non sono più lucido, ho la febbre altissima, potrei
morire da un momento all’altro, ma nessuno mi può aiutare e come
non bastasse ho anche il cellulare e il power bank scarichi.
Purtroppo non posso chiamare o gridare aiuto, sono l’unico sul
punto più a nord d’ Europa, il punto non turistico, non
come quello di Capo Nord. Anche volendo gridare non ho più voce. La
mia voce è diventata molto rauca e faccio fatica a respirare. E’
la morte che ho sempre desiderato, in viaggio, in viaggio con me
stesso. In un attimo di lucidità tiro fuori la mia Japa-mala e
inizio
a recitare con l’unico filo di voce che mi è rimasto, il Maha
Mantra: Hare Krishna
Hare
Krishna Krishna Krishna Hare Hare Hare Rama Hare Rama Rama Rama Hare
Hare!
Non
ci sarà mai più un domani per me, mi troveranno dopo diversi giorni
congelato come un ghiacciolo con la mia Japa in mano.
Non
ho mai stipulato un’assicurazione di viaggio e il trasporto della
mia salma costerà caro ai miei. Grazie
alla meditazione finale in punto di morte, Dio mi concede di
“partecipare” al mio funerale. E’ stato sempre un mio sogno,
quello di poter ammirare quanta gente ci sarà al mio funerale e
sentire i ricordi o i pianti dei miei amici. Sono sopra tutta la
folla riunita per il mio ultimo saluto, posso anche essere al fianco
dei miei cari. Posso infilarmi ovunque a sentire tutti i discorsi,
riesco a sentirne
diversi contemporaneamente.
Questa morte è fantastica! Rido alla ridicole parole del prete,
parla come se mi conoscesse da una vita, ma chi cazzo lo conosce.
La
prima luce della candela si spegne al momento dell'uscita
della
bara dalla
chiesa e mi accorgo di perdere qualche potere sulla Terra, il Cielo
mi sta chiamando a sé. Sono
contento di essere trasportato dai miei quattro cari amici sulle loro
spalle.
Ma ho un ultimo desiderio: vedere sotterrare il mio ex corpo, ormai
senza vita, senza nessun motivo di essere me stesso. Al
sigillo della bara e all’inizio della sepoltura mi sento una
felicità mai avuta prima, un senso di leggerezza come se fossi
rinato. Ormai tutta la terra ha riempito la buca, sto per scomparire
fino a
che con
la coda dell’occhio riesco a leggere sulla mia tomba: Carissimo
Ivan
né un turista, né un viaggiatore, solo un cittadino locale.
Ivan Ske
COSE STRANE DAL MONDO
LE FOTO DI IVAN SKE
LE FOTO DI IVAN SKE
Lo sbuccia mango a Bogotà
ANGOLO
DEI LIBRI
INVITO ALLA LETTURA
di Ivan Ske
INVITO ALLA LETTURA
di Ivan Ske
LIBERARE LA MENTE PER SCOPRIRE SE STESSI
CARLOS
CASTANEDA
TENSEGRITA’
I
MOVIMENTI MAGICI CHE AUMENTANO L’ENERGIA VITALE
“Non
difendere con tanta passione il tuo splendido sé”…
In
base alla spiegazione di don Juan sulla ridistribuzione, gli
esseri umani, percepiti come conglomerati di campi energetici, sono
unità energetiche saldate che hanno confini ben definiti che non
permettono all’energia di entrare o uscire…
“Ho
sconfitto la mia mente”...” non ho una mente che mi dice che è
ora di diventare vecchio, e non rispetto accordi a cui non ho preso
parte. Ricordati sempre che dichiarare di non rispettare gli accordi
a cui non si è preso parte non è un semplice motto degli stregoni:
essere afflitti dalla vecchiaia, per esempio, è uno di questi
accordi.”
Era
libero da pensieri ingombranti e modelli comportamentali, vagabondava
per mondi incredibili ed era libero…
una
grande energia sorridere
mangiare
il mondo correre all’orizzonte
ruggire
emozionarsi
Non perdiamoci di vista... l’appuntamento è per il Graffio di luglio
Non perdiamoci di vista... l’appuntamento è per il Graffio di luglio
e
ricordatevi sempre di chiudere gli occhi e di non smettere mai di
sognare ...
perché il viaggio più bello, si trova nei vostri sogni ...
perché il viaggio più bello, si trova nei vostri sogni ...
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