mercoledì 8 aprile 2020

NOVEMBRE 2018.


     IL GRAFFIO DEL VIAGGIATORE

        Per scrittori anarchici …completamente liberi




Anno 3 – Numero 46 – Novembre 2018


            I GRAFFI DI NOVEMBRE


                 Vologda, Oblast' di Vologda, 

                                                               RUSSIA



... entro in chiesa, luogo di preghiera e di meditazione ... Un Pope parla quasi cantando, dalle finestre ghiacciate entra una debole luce, mi siedo e una babuska mi dice sorridendo di togliermi il copricapo. .. giusto ... Le icone sono favolose i tappeti scaldano l'ambiente, la gente è impegnata in meditazione, osservo la storia , gesti calmi, gesti antichi, un bambino si distende su un tappeto, lo guardo sorridendo ... Un Pope si avvicina e mi chiede se parlo russo .... Poco rispondo ... m'invita a seguirlo ... 



Lo seguo, una porta antica si apre, osservo uno spettacolo unico .... Tutto foderato di icone, grandi, piccole, l'arte è sublime, il Pope parla della storia e del restauro ... 



ascolto con educazione ... poi mi stringe la mano, ringrazio e torno a sedermi, respiro un'aria che non è la mia, la sento dentro .... La mente vola lontano ... rivedo volti che ho amato e che sono volati via ... la caducità della vita, respiro questi momenti con dolce malinconia, la porta della chiesa si apre e una voce sottile mi dice che devo uscire .... esco, nevica un po', un barbone mi chiede una sigaretta.



 ... ma come fa a sapere che fumo????? Mi ringrazia, lo vedo allontanarsi dondolando, mi volto, la porta è chiusa, il sogno è finito, il barbone è scomparso, c'è solo un cane che mi guarda con occhi dolci. .. Siamo soli ...



ADALBERTO BUZZIN




                                      MYANMAR

                   BAGAN


Sulla sponda sinistra del fiume Irrawaddy, ai piedi del monte Popa, picco vulcanico meta di antichi pellegrinaggi, si estende una pianura bruciata dal sole e costellata a perdita d’occhio da oltre 5.000 pagode, stupa e monasteri buddisti, glorie dell’impero di Bagan. Qui, tra il 1044, anno di ascesa al trono del re Anawratha, e il 1287, data di arrivo dei mongoli, sorse una splendida capitale. Il grandioso complesso archeologico di Bagan (o Pagan), forse il luogo più attraente del Myanmar, è quanto resta di oltre 13.000 edifici religiosi costruiti all’epoca. Alcuni di questi sono ora solo misere, ma evocative rovine, altri hanno conservato intatto il loro splendore. I templi più importanti sono quelli di Ananda, il Thatbynnyu, quello di Htilominlo e lo Shwezigon che, con la sua elegante cupola dorata a forma di campana, diventò il prototipo di tutti gli stupa del Myanmar.



Il sito è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Anche Marco Polo rimase colpito dalla suggestiva bellezza di Bagan, che descrisse con queste parole: “Il re ha voluto costruire queste torri per celebrare la sua magnificenza e per il bene dell’anima sua e vi dico che a vederle sono le più belle cose al mondo e quelle di maggior valore”.
In un aereo ATR-42 della Myanmar Airlines, ornato da addobbi natalizi, raggiungiamo Bagan.

MERCATO DI NYAUNG OO


  
La vera Bagan è nella zona nord est dove è ubicato il mercato ortofrutticolo, “odoroso” mercato generale (soprattutto nella zona dove vendono pesce di fiume), un dedalo di sentieri tra mille bancarelle.



La  sua visita permette di avvicinarsi alla realtà popolare della regione. Ricco di movimento e di gente, enorme, dove si trova di tutto, dalle verdure, alla frutta, alla carne, al pesce e ad articoli di vario genere, un mercato vivace dove I locali vanno a fare i loro acquisti.



Il mercato è diviso in due parti: il vecchio mercato si trova all’interno di un cortile dove arrivano anche i taxi e dove i camioncini scaricano e caricano le merci ed è pieno di mercanzie: dai bei manufatti in bamboo, alla frutta e alla verdura.



Nel nuovo invece si trova veramente di tutto: riso, pesce secco, uova, pesce fresco, pollo, frutta, verdura, vestiario ma anche laboratori di oreficeria.



Magnifico da fotografare per i colori e per ammirare la popolazione sempre cordiale. Presenti tanti monaci adulti e bambini, in giro per ricevere offerte.



PAGODA SHWEZIGON  LA PAGODA D’ORO DELL’ISOLA”



Pagoda a pianta quadrata rilucente d’oro che si trova nella parte nuova di Bagan verso la cittadina di Nyaung. Fu costruita come il più importante santuario reliquiario di Bagan, un centro di preghiera e riflessione per la nuova fede Theravada che il re Anawarahta aveva stabilito a Bagan. È una bellissima pagoda iniziata dal re Anawrahta ma fu completata dal re Kyanzittha (1084-1113). Fu costruita per custodire una delle quattro repliche del dente di Buddha che si trova a Kandy, nello Sri Lanka, e doveva segnare il limite settentrionale della città. 
Nota: narra una leggenda che se si visitano tutte e quattro le repliche dei denti in un giorno, può portare prosperità e fortuna.



La graziosa forma a campana della pagoda divenne un prototipo praticamente per tutte le pagode successive in tutto il Myanmar. E’ situata su tre terrazze sovrapposte con placche smaltate poste  nei pannelli attorno alla base della pagoda che illustrano scene delle precedenti vite del Buddha, noto anche come 550 Jatakas.
Nei punti cardinali, di fronte alle scale della terrazza, si trovano quattro santuari, ognuno dei quali ospita un Buddha in piedi in bronzo alto quattro metri.



Ultime immagini sopravvissute dell'antichità. Oltre a classificarsi come una delle pagode più antiche di Bagan, Shwezigon è nota come il sito in cui i 37 nat pre-buddisti (gli spiriti) furono inizialmente approvati ufficialmente dalla monarchia e le loro immagini possono essere viste in un capannone posto a sud-est.

QUALCHE CENNO SUI “NAT”

Molto tempo prima dell’introduzione del buddismo in Birmania tra i popoli nativi era largamente diffuso l’animismo. Uno dei culti più antichi nell’animismo birmano è appunto quello dei Nat. Originariamente, ogni villaggio aveva i suoi spiriti. Ogni albero e ogni campo era abitato da un Nat locale. C’erano i Nat del raccolto, i Nat del vento, i Nat della pioggia. La maggioranza dei Birmani, tuttavia, venerava Nat particolari, riconosciuti in tutto il paese per i loro poteri. È stato così per più di 1500 anni. Oggi sono 37 i nat che vengono ancora venerati e rappresentano parte integrante delle credenze religiose del popolo birmano, che li placa e li onora con offerte di fiori, denaro e cibo, poste su speciali altari. Secondo una credenza popolare  coloro che sono in contatto diretto con i Nat possono guarire la malattie e prevedere il futuro. Indovini, profeti e guaritori sono germogli naturali di questa credenza.

TEMPIO THATBYINNYU

Il nome significa "tempio dell'onniscienza" e la sua costruzione fu iniziata durante il regno del re Alaungsithu, circa a metà del XII secolo, la costruzione fu edificata poco distante dal tempio di Ananda (la cui costruzione iniziò meno di un secolo prima). Il tempio ha una forma a croce irregolare e asimmetrica, la struttura è basata su due piani, e la statua principale del Buddha è sul secondo di questi. Curiosa la presenza di una serie di stupa dorati agli angoli di ogni piano terrazzato: ognuno di essi veniva messo dagli ingegneri per indicare un consumo di 10.000 mattoni. Forse per conteggiare bene la parcella da inviare al re…. Il tempio raggiunge un'altezza massima di 61 metri, il più alto della zona. È uno dei primi templi a doppio piano, ma la disposizione è diversa da quella dei successivi templi a doppio piano, come se fosse ancora un esperimento nella nuova forma.
Pranzo in ristorante e poi visita alla fabbrica di elementi laccati Myint Lacquer Workshop.



La prima testimonianza scritta dell'origine e dell'uso della laccatura in Birmania è stata descritta in un testo cinese che la menzionava in quanto veniva usata dal popolo pyu già dal II sec.a. C. per decorare. Gli abitanti delle foreste usano anche la linfa della lacca da applicare sui vasi come rivestimento impermeabile. Su un’intelaiatura di bambù si aggiungono diversi strati di resina che viene fatta solidificare in una cantina perché al sole si scioglierebbe. 



Le decorazioni vengono fatte con un punteruolo appuntito e richiedono abilità estrema perché gli errori non si possono correggere. I manufatti più belli (scatole, piatti, ciotole, portagioie) sono fatti con 24 strati di lacca sovrapposti, costano molto, e sono conservati in un’area sorvegliata. La lavorazione della lacca  è una peculiarità delle botteghe artigiane di Bagan.

TEMPIO MYINKABA GUBYAUKKYI



Fu costruito nel 1113 dal figlio di Kyanzittha Rajakumar, alla morte di suo padre. Il principe Rajakumar era figlio del re Kyanzittha e nipote di un monaco. Il tempio è in stile indiano ed è costituito da una grande sala del santuario collegata a una piccola anticamera. Il pregevole stucco sulle pareti esterne è in condizioni particolarmente buone mentre di particolare interesse sono i dipinti ben conservati all'interno, che si pensa risalgano alla costruzione originale del tempio e siano i più antichi rimasti a Bagan. Il tempio è tipico dello stile Mon in quanto l'interno è debolmente illuminato da finestre perforate anziché aperte.

TEMPIO ANANDA



Il tempio di Ananda è considerato uno dei capolavori dell'architettura Mon. Conosciuto anche come il più fine, più grande, meglio conservato e più riverito dei templi di Bagan, fu costruito intorno al 1105 dal re Kyanzittha. Durante il terremoto del 1975, subì notevoli danni ma fu completamente restaurato e nel 1990, nel 900° anniversario della costruzione del tempio, le guglie del tempio furono dorate. C'è una leggenda secondo cui c'erano 8 monaci che un giorno arrivarono a palazzo chiedendo l'elemosina e raccontarono al re che una volta vivevano nel tempio della grotta di Nandamula in Himalaya. Il re fu affascinato dal racconto e  i monaci con i loro poteri meditativi mostrarono al re il mitico paesaggio del luogo in cui si trovavano prima del loro arrivo. Il re Kyanzittha fu affascinato dalla vista e decise di  costruire un tempio che sarebbe stato il più ammirato nel mezzo delle pianure di Bagan. La struttura del tempio è quella di un semplice tempio a corridoio. La piazza centrale quadrata con lato di 53 metri mentre la sovrastruttura si eleva in terrazze fino a 51 metri dal suolo. Le vie di accesso rendono la struttura una croce perfetta, ogni entrata è coronata da uno stupa finial (pinnacolo). Al centro del tempio, quattro Buddha in piedi di 9,5 metri rappresentano i quattro Buddha che hanno raggiunto il nirvana. Sono originali solo le due statue in stile Bagan rivolte verso nord e sud; entrambi mostrano il dhammachakka mudra, una posizione della mano che simboleggia il primo sermone del Buddha, le altre due statue sono state rifatte e sostituiscono quelle distrutte dagli incendi. Tutti e quattro hanno corpi in teak massiccio, sebbene sembri che l'immagine meridionale è fatta di una lega di bronzo. Da notare che se si sta vicino al contenitore delle donazioni di fronte al Buddha meridionale originale, il suo viso sembra triste mentre da lontano tende a sembrare sorridente. Le statue in piedi orientali e occidentali sono realizzate in stile Konbaung o Mandalay. Si dice che una piccola sfera simile a una noce tenuta tra il pollice e il medio dell'immagine rivolta a est assomigli ad una pillola a base di erbe e possa rappresentare il Buddha che offre il dhamma (filosofia buddista) come cura per la sofferenza. Entrambe le braccia pendono ai lati dell'immagine con le mani aperte, un aspetto sconosciuto alla scultura buddista tradizionale. Il Buddha esposto a ovest presenta l' abhaya mudra con le mani tese nel gesto di "nessuna paura". La festa del tempio di Ananda cade alla luna piena di Pyatho (di solito tra dicembre e gennaio, secondo il calendario lunare) e attira migliaia di locali da vicino e lontano. Fino a mille monaci cantano giorno e notte durante i tre giorni del festival.

TEMPIO DHAMMAYANGYI
E’ la struttura più imponente di Bagan e ha un piano architettonico simile al tempio di Ananda. Fu costruito dal re Narathu (1167-70), noto anche come Kalagya Min, il "re ucciso dagli indiani". Si erge su un quadrato di 77 metri di lato ed è  il santuario più massiccio di Bagan, con sei monumentali terrazzamenti e un’imponente entrata sul lato est. I mattoni sono incastrati tra loro senza uso di malta, con una precisione tale che non ci passa neanche uno spillo. Questa perfezione architettonica fu voluta dal re Narathu, e si dice che Narathu abbia supervisionato personalmente la costruzione e che molti muratori abbiano avuto le mani mozzate se un ago poteva essere spinto tra i mattoni che avevano posato. Ma non completò  la costruzione perché fu assassinato prima del completamento. Si diceva che condannasse i rituali indù e uccise il padre, il fratello e la moglie, una principessa indiana, per tale motivo Il padre della principessa voleva vendetta per sua figlia innocente e mandò otto sicari  e fece assassinare Narathu proprio in questo tempio. Il Dhammayangyi rimane una delle costruzioni più singolari e intriganti costruite nella pianura di Bagan.

TEMPIO DI HTILOMINLO

Situato a nord-est di Old Bagan, è uno dei templi più imponenti di Bagan. Fu commissionato nel 1218 dall’omonimo sovrano. Htilominlo era uno dei cinque figli del sovrano Narapatisithu e quest’ultimo, per scegliere quale tra i suoi figli sarebbe stato il prossimo sovrano del regno, li dispose in cerchio e fece ruotare un ombrello che si fermò fortunosamente indicando Htilominlo, che non poteva regnare essendo il più giovane,  ma la fortuna….forse un po’ spinta lo indicò…. Il Tempio fu realizzato in mattoni e rivestito interamente con stucco. Presenta  quattro ingressi, uno per lato, posti in corrispondenza dei principali punti cardinali.  L’estremità superiore del Tempio è caratterizzata da una Sikhara (struttura ornamentale tipica dell’India settentrionale)  alla sommità del quale c’è il tradizionale pinnacolo ornamentale a spire concentriche (Hti) L’interno della struttura è caratterizzato da una serie di corridoi che conducono al santuario principale, ognuno dei quali è ornato con immagini del Buddha.

TEMPIO MANUHA


E ’ancora in uso e si trova al centro del villaggio di Myinkaba.. Anche se risale alla seconda metà dell’anno mille risulta in ottimo stato. Questo tempio è dedicato al re Manuha, il re tenuto prigioniero a Bagan dal re Anawrahta. La leggenda dice che a Manuha fu permesso di costruire questo tempio nel 1059 e che lo costruì per rappresentare la sua sofferenza nel vivere in cattività. Al suo interno vi sono, da un lato, tre statue dorate di Buddha in piedi e, dall'altro, una statua di Buddha sdraiato, completamente circondate dalle pareti in modo molto ravvicinato, proprio per dare l'idea della sofferenza nella prigionia e nella costrizione. Tutte le statue sembrano troppo grandi per gli ambenti che le ospitano e le loro posizioni anguste e scomode rappresentano lo stress e la mancanza di conforto che il "re prigioniero" dovette sopportare. Tuttavia, si dice che solo il Buddha sdraiato, nell'atto di entrare nel Nirvana, abbia un sorriso sul volto, dimostrando che per Manuha solo la morte è stata una liberazione dalla sua prigionia.



Ci rechiamo su una collina su cui si trovano piccoli stupa dalla quale assisteremo al fantastico tramonto sulla valle dei templi di Bagan. Spettacolo da brividi!



Domani saremo a Mandalay passando per Inwa, Sagaing e Mingun  
Carlo Amato


Tutti coloro che vogliono intervenire con un loro pensiero, argomento, articolo di viaggio e non, sono invitati calorosamente a farlo. Sarà pubblicato sul prossimo numero del Graffio del Viaggiatore.

Grazie mille


ilgraffiodelviaggiatore@gmail.com



                          PROGETTI PER LA VITA


                     Fare l'Eremita casalingo.

                                                             Ivan Ske



                 MUSICA PER CHI VUOLE VEDERE


Jovanotti. Marco Polo

Jovanotti. Giusto perché dice Manila

Edoardo Bennato - La Torre di Babele ... del 1976!!!


                         RIFLESSIONE SULLA VITA



RIFLESSIONE DI UN VIAGGIATORE PRIGIONIERO IN UN CLIMA DITTATORIALE MA ANCORA LIBERO DI SCRIVERE I SUOI PENSIERI

risposta al mese precedente di Ivan Ske

Secondo me il tuo punto di vista sull'altruismo ci sarà sicuramente per i primi mesi, se non per i primi giorni e poi come ogni cosa, ognuno tornerà ad essere se stesso (magari se stessi), ma intendevo a fare le solite cose di sempre compreso il proprio egoismo...spero e mi auguro di sbagliarmi.  Quello già di scrivere queste cose, è molto positivo perché vuol dire che ne saremo fuori per fortuna... sperando il più presto possibile. Mi fa piacere leggere nella tua email una verità assoluta che l'altruismo genera a catena altri comportamenti positivi. Hai proprio azzeccato il punto, la vita, l'emozioni, i comportamenti vivono di questa catena, ma è un dato di fatto assoluto come l'avidità, genera la rabbia.

Contro risposta di Rudy 

Anch'io la penso come te sul fatto che le speranze che chi in primis ha il potere di cercare di cambiare tutto questo con dei comportamenti meno egoistici e più altruistici ritornerà a pensarla come prima, ma qualcosa questo VIRUS è riuscito a distruggere perché stiamo vedendo attorno a noi che tutte le nazioni senza distinzioni di potenza o di cultura non sono riuscite ad affrontare con le loro tecnologie scientifiche, le loro armi INUTILI, e le loro preghiere la potenza che questo virus sta dimostrando a tutti noi!
Hanno promosso guerre per interessi economici, hanno creato guerre per fini religiosi, hanno incentivato rivoluzioni per accrescere i loro poteri democratici o dittatoriali, hanno motivato conquiste dello spazio spacciandole per interessi scientifici per il bene dell’umanità quando con i soldi che hanno usato per queste conquiste avrebbero potuto aiutare tutto il continente africano a diventare più indipendente evitando la fuga immigratoria a cui stiamo assistendo da anni, ma si sono dovuti inchinare di fronte a qualcosa che non conoscevano e che sarà d'ora in poi il loro più grande incubo, perché è mia opinione personale che si potrà creare un vaccino anche per questo virus ma come qualcuno più intelligente del sottoscritto ha fatto notare a tutto il mondo, nessuno ci assicura che un’altro nuovo VIRUS o una mutazione di questo non si ripresenti nel prossimo futuro!
Nel passato abbiamo visto delle produzioni cinematografiche basate su quello che sta succedendo, ci hanno fatto pensare e riflettere se fosse potuto accadere nella realtà, chiedendoci se le nostre certezze scientifiche sarebbero state in grado di darci il solito lieto fine dei films in oggetto. Ora la risposta è sotto gli occhi di tutti, poveri, potenti, religiosi con l’orgoglio d’avere per se stessi l’assoluta verità ecc. ecc. Tutti accomunati e spaventati dall’impotenza che stiamo dimostrando di fronte a una semplice INFLUENZA!
Peccato che questa semplice INFLUENZA, come ci è stata spacciata, all'inizio, da chi ci comanda, sta combinando tutto questo pandemonio. Parola presa non a caso dalla più famosa parola usata per descrivere questo disastro: PANDEMIA!
Ma io e te Ivan sappiamo benissimo di cosa stiamo parlando perché quando abbiamo voluto sfidare la sorte e non abbiamo rinunciato a viaggiare in Uganda mentre un’altra PANDEMIA, in questo caso relegata in terra africana stava falcidiando esseri umani nelle nazioni confinanti e anche in minima parte in Uganda, penso siamo stati incoscienti e fortunati e se mi permetti anche un po' egoisti verso chi in italia ci aspettava colmi di mille pensieri negativi che noi avevamo gettato nel fondo dei nostri zaini per VIAGGIARE verso nuove eccitanti esperienze per arricchirci non di qualcosa di materiale, ma di crescite interiori che non si possono comprare con nessuna cifra di questo mondo!
Ebbene si noi ora siamo cosi: ancora VIAGGIATORI che sognano di ritornare ai nostri viaggi, alle nostre nuove conoscenze che ci hanno fatto crescere sotto tutti i punti di vista e che, nel mio caso specifico, mi permette di non avere nessun rimpianto del mio passato cosciente anche se un semplice, ma bastardo VIRUS mi dovesse privare di tutto questo, in quel momento tutto il mio passato mi renderà più forte per affrontare l’ultimo VIAGGIO DELLA MIA VITA!




ANGOLO DELLA BATTUTA

Per dimenticarci di essere seri

La gente è impazzita, è proprio fuori... ma se non può uscire!

Ivan Ske



                                       VERSI LIBERI


Voglio uscire cazzo
ho voglia di una bella abbronzatura,
ma non posso fare il pazzo
Ho tanta paura
quindi mi metto in terrazzo
con un libro e un po' di cultura.
Se il terrazzo non ce l'hai
fai almeno una scultura
anche se non l'hai fatta mai.
Lo so la vita è dura,
ma presto diventerà più pura
uniamoci come una saldatura
non uscire... giura!

                                                         Ivan Ske



                                   I AM STILL FREE

                                    I sogni e i progetti di chi non vuole smettere di correre...
                                         Scriviamo e lasciamoci andare sempre e ovunque…


Come l'oceano resta immutato nonostante le acque che vi si gettano, così soltanto l'uomo che non è turbato dal fluire incessante dei desideri che entrano in lui come fiumi, può ottenere la pace, non l'uomo che lotta per appagarli.

Bhagavad Gita 2.70




IL MURO

IL DOLORE PIÙ GRANDE PER UN VIANDANTE È TROVARSI DI FRONTE AD UN MURO AL DI LA DEL QUALE NON PUÒ ANDARE.


Quando soffia un forte vento, c'è chi costruisce un muro per ripararsi e chi invece costruisce un mulino

proverbio cinese



IL VIAGGIO IMMAGINARIO

IL VIAGGIO IMMAGINARIO È QUELLO CHE HAI SEMPRE SOGNATO E CHE NON HAI MAI REALIZZATO ...
QUELLO CHE PRENDE FORMA DI NOTTE E AL RISVEGLIO SI DISSOLVE NELLA MENTE ...
MA IL VIAGGIO IMMAGINARIO È ANCHE QUELLO DENTRO NOI STESSI
SENZA DUBBIO IL VIAGGIO PIU PERICOLOSO ED AFFASCINANTE SI POSSA FARE ...
QUELLO CHE SCAVA SCAVA TROVI SEMPRE QUALCOSA CHE NON VA IN TE ...

SCAVA SCAVA TROVI SEMPRE STRADE NUOVE ... STRADE CHE PERCORRI CON CORAGGIO E TI CAMBIANO LA VITA ...

UN VIAGGIO CHE TI DA UNA FORZA MAI AVUTA PRIMA ... CHE APRE PORTE IMPOSSIBILI ...
SCONFIGGE ANTICHE PAURE ... E CI AIUTA A CAMBIARE ... A MIGLIORARE
LASCIAMOCI ANDARE AL NOSTRO VIAGGIO IMMAGINARIO ...

MA NON è BISOGNA VOLERLO!


https://www.youtube.com/watch?v=GdxUIZOzd5E&feature=share10


Il Viaggio Immaginario di Ivan Ske

EVEREST = MADRE DELL'UNIVERSO

Volo verso il Nepal per un unico obiettivo...
Mi sono allenato molto nei mesi precedenti, ho fatto una preparazione degna di un atleta olimpionico... non posso fallire.
A Kathmandu incontro i sadhu nel cuore dei labirintici vicoli della città vecchia per farmi benedire il Viaggio, il Grande Viaggio.
Decido di non volare fino a Lukla, sarebbe come barare.
Dopo la benedizione, in un negozio alimentare, fortunatamente incontro un ragazzo che sta facendo provviste  per il suo villaggio di Dudhakunda e semplicemente perché mi viene addosso, decide di portarmi a casa sua con la sua jeep, fino a Phaplu per scusarsi del piccolo incidente... che grande privilegio. Nelle 8 ore di strada diventiamo molto amici, come se ci conoscessimo da una vita.
Mi invita a casa sua, conosco la sua splendida e umile famiglia e mi offre un letto per la notte. Davanti a diverse tazze di tè gli racconto il mio sogno e decide che sarà grazie a lui che lo realizzerò. Ha un sacco di amici sull'Himalaya e lui stesso è stato per molto tempo uno dei migliori sherpa del Nepal...e mi fa notare che non è affatto arrugginito, anche se ora gestisce un piccolo negozio.
Il giorno dopo partiamo per le gigantesche vette. Si carica tutta l'attrezzatura sulla schiena grazie alla fascia sulla fronte. Mi sento quasi a disagio, ma mi assicura immediatamente di non preoccuparmi, perché lo fa veramente col cuore e sente che deve aiutarmi per un segno divino. Non so come ringraziarlo e partiamo su e giù per le valli, praticamente attraversiamo le bellissime vallate a terrazza fino alla cima a 3000 mt per poi discendere a valle, attraversare il fiume sui ponti tibetani traballanti, a causa dei pesanti yak, a 1500 mt per poi risalire la cima fino a Lukla. 
Il percorso, che si snoda lungo la Valle del Khumbu, tra villaggi sherpa e magnifiche foreste, porta al campo base della montagna più alta della terra, l’Everest.
Il panorama è ovviamente mozzafiato fin dai primi chilometri, con alcune delle vette himalayane più belle e famose che circondano la valle: Thamserku, Kangtega Ama Dablam, Lhotse, Pumori.
Ci sono alberi pieni di fiori profumati e villaggi vivi e pieni di adulti e bambini intenti nelle loro faccende.
Le “colline” che vengono trasformate in scenografiche terrazze a gradini per la coltivazione sono stupende.
Da Phaplu ci sono 3 o 4 giorni di marcia prima di arrivare a Lukla, giorni in cui si vede lentamente la natura cambiare. Ho uno sguardo privilegiato sulla vita degli sherpa lontano dalle folle dei turisti, e in cui le mie gambe chiederanno pietà per le continue salite e discese infinite.

LUKLA (2.840 M.) – PHAKDING (2.610 M.)

Visita del monastero di Lukla. Immancabilmente giro le ruote buddiste per una buona fortuna...e mi sa che ne servirà molto, infatti non smetto più di girarle. Successivamente trek per Phakding (3 ore circa, dislivello –230 mt.)dove si pernotta. Noi non dormiremo nei lodge dei turisti, grazie al mio nuovo amico, siamo invitati nelle tipiche case nepalesi. Lo conoscono tutti benissimo e mi fa piacere vedere da loro il proprio rispetto e sentire le storie delle sue grandi imprese. Notte scaldata con la stufa alimentata da escrementi di yak.

PHAKDING (2.610 M.) - NAMCHE BAZAAR (3.440 M.)

Il sentiero si snoda lungo la valle del Khumbu, attraversando più volte il fiume Dudh Koshi su spettacolari ponti sospesi. Dopo Monjo,
dove si trova la porta d'ingresso al Parco Nazionale del Sagarmatha,
il sentiero prende a salire decisamente fino a raggiungere i 3440 metri di Namche Bazaar. (6 ore circa, dislivello 830 mt.)
Pernottiamo insieme ai porter, in uno stanzone per terra con un fine materassino e il sacco a pelo nella casa da tè.
OGGI GIORNATA INDISPENSABILE PER L'ACCLIMATAMENTO NEI DINTORNI DI NAMCHE. CON BEL PERCORSO PANORAMICO, CI SI ALZA DI 400 METRI PER RAGGIUNGERE I VICINI VILLAGGI DI KHUNDE E KHUMJUNG, AI PIEDI DELLA SACRA MONTAGNA KHUMBI YUL LHA, PROTETTRICE DELLA VALLE DEL KHUMBU E DIMORA DELLO YETI. VISITIAMO IL MONASTERO DI KHUNDE. NON È MAI ABBASTANZA UNA SACRA BENEDIZIONE, PRIMA DI ANDARE A DORMIRE.

NAMCHE (3.44O M.) - TENGBOCHE ( 3.880 M.)

Si percorre la valle del Khumbu fino a scendere sul Dudh Koshi per poi risalire sul fianco della collina fino a Tengboche. Qui si trova il monastero più importante di tutta la valle e tra i principali del buddismo tibetano e qui, due volte l’anno, ha luogo il Mani Rimdu, uno dei festival buddisti più importanti in assoluto. Dormiamo da una simpatica famiglia, molto amica della mia guida. Sono felice di quel bel incidente a Kathmandù, senza di esso a quest'ora non sarei qui coccolato come uno di famiglia.

TENGBOCHE (3.880 M.) - DINGBOCHE (4.360 M.)

Da Tengboche si oltrepassa Pangboche, sovrastata dalla bellissima silhouette dell’Ama Dablam e si sale verso Pheriche. Il villaggio è posto in una bella piana con vegetazione ormai rada e bassissima. Durante la tappa ci si accorge di entrare in zona d’alta montagna che presenta clima e caratteristiche geografiche diverse. Oggi è stata leggermente più faticosa, l'altitudine inizia a sentirsi.

DINGBOCHE (4.360 M.) - LOBUCHE (5.010 M.)

Il sentiero risale in maniera inizialmente abbastanza ripida la valle del ghiacciaio del Sagarmatha e raggiunge Lobuche (5.010), ultimo villaggio vero e proprio della Valle del Khumbu. Sosta per il pranzo e proseguiamo per Gorak Shep, dove si giunge nel pomeriggio avanzato dopo avere attraversato le morene dell’immenso ghiacciao di Khumbu.. Pernottiamo nell'ultimo villaggio himalayano... un freddo cane.

GORAK SHEP (5.100 M.) - CAMPO BASE EVEREST (5.364 M.)

Giornata di visita del celeberrimo campo base dell’Everest. Nonostante la piccola differenza di altitudine, il percorso si svolge prima sulla morena laterale del ghiacciaio del Khumbu e quindi sul ghiacciaio stesso con parecchi su e giù, risultando così piuttosto faticoso (3,30 h circa). In compenso l’avvicinarsi al campo e soprattutto all’incredibile Icefall, regala emozioni intense, ma scordatevi di vedere l'Everest, perché è nascosto dalle montagne più vicine. Addio alla "vita sociale" e dormiamo in tenda. Siamo gli unici, perché nessuno scala l'Everest d'inverno, a parte il nostro grande Simone Moro e la sua compagnia.

SALITA DEL KALA PATTAR (5.545 M.)

Di primissima mattina partenza per la salita del Kala Pattar, magnifico balcone su Everest, Nuptse e Lhotse.
Si cammina e si respira a fatica. E' pesante anche a chinarsi ad allacciarsi le scarpe, sollevare la bottiglietta dell' acqua per berla, tutto, tutto, tutto costa una fatica immensa.
Ogni metro guadagnato, ogni passo fatto è una sofferenza fisica ed emotiva.
Questo Kala Pattar sembra non finire più, c'è una prima cima e penso di essere arrivato, invece superato il valico, scopro che è ancora più in alto. Devo continuare a salire, ultimo sforzo, e quando finalmente arrivo in cima, vedo tutte le bandierine himalayane colorate e guardo davanti a me e lo vedo lì, Lui con la sua forma iconica che ho visto in un migliaio di libri, migliaia di immagini, di film, e ora mi trovo davanti al gigante dei giganti, l'Everest, il tetto del mondo. Rimango senza fiato in tutti i sensi.
Lo sherpa mi lascia nella mia ecstasy suprema, poi mi guarda e mi dice convito: " ormai perché non scalarlo!"
- "Ma sei pazzo! Non ho l'ossigeno e non abbiamo i permessi" gli rispondo.
- "Non ti preoccupare, fidati di me, saliamo dove mai nessuno a osato... dal versante nord, conosco i militari cinesi."
Mi sento come se qualcuno mi abbia appena sparato in testa, ho una paura fottuta di morire o di perdere qualche dito dal congelamento, ma dentro la mia testa, una vocina continua a ronzarmi, ad ossessionarmi: "vai, fidati di lui, vai, vai, vai continua". Lo guardo fisso negli occhi, in quei suoi occhi neri e mi vedo la cima dell'Everest riflessa sulle sue pupille. E' decisamente un segnale e accetto, ma lo scongiuro di far la via classica e più sicura.
Torniamo a dormire in tenda, ma non sarà una notte tranquilla, non faccio altro che pensare e ripensare a quello che starò per fare...una pazzia?
Da oggi inizierà il giochino di sali e scendi per l'acclimatamento che mi porterà pian piano a salire sempre più in alto.
Il giorno seguente escursione di allenamento e di acclimatamento lungo il ghiacciaio principale con vista sull'Everest.
Mattina freddissima a -31, ma con cielo limpido e all'arrivo del sole fortunatamente rende più piacevoli le temperature.
La notte è meravigliosa, non ho mai visto così tante stelle attaccate, una accanto all'altra, trasformando il cielo notturno in milioni di puntini luminosi gialli, quasi non si vede l'oscurità, grazie anche alla Via Lattea e la sua bianca sfumatura. E' meraviglioso, potrei anche morire in questo istante, ma non è il momento.
Sveglia all'alba e preghiamo davanti allo stupa. Lo sherpa inizia una Puja, la cerimonia in onore degli dei, propiziatoria e protettrice della scalata. 
Ci incamminiamo al campo base avanzato a 6065 mt, tra crepacci e seracchi.
Il mio amico sherpa trasporta a spalla la famosa scaletta, a volte deve strisciare o procedere di traverso per passare tra i seracchi e le strettoie del ghiacciaio. 
Non ci perdiamo d’animo, vaghiamo tra i seracchi e attraversiamo ponti precari di ghiaccio, ma alla fine troviamo la via che però termina con un crepaccio profondissimo. Non è più largo di due metri e mezzo. Perfetto per la scaletta che faticosamente ha sulle spalle.
Con la massima cautela e delicatezza posiziona la scala da un bordo all'altro del profondo crepaccio. Perfetta!!!! 
Seracchi e blocchi di ghiaccio mobili lo rendono uno dei tratti più pericolosi dell’intera ascesa. Una volta che la luce solare raggiunge il ghiacciaio, il pericolo aumenta notevolmente. Sopra il ghiacciaio si trova il campo I, detto anche advanced base camp.
La giornata si è rivelata estenuante e quasi mortificante. Il riposo in tenda è ormai diventato sacro santo.
Oggi sono stanco, ma tanto felice. Speriamo che le sorprese siano finite.
Prima di partire questa mattina per il campo 2 il mio carissimo amico mi insegna il vero segreto degli sherpa: il Mantra. D'ora in poi, prima di fare un passo, dovrò recitare il Mantra Tibetano Om Mani Padne Om e solo dopo affrontare il passo successivo e fermarmi nuovamente a recitare il Mantra e continuare così fino alla vetta. Una purificazione mentale e fisica. Funziona e mi sento bene, riesco a tenere il respiro calmo e profondo e a tenere tutto l'ossigeno necessario all'interno del mio corpo.
Dal campo I o avanzato, si sale sulla Western cwm fino alla base del Lhotse dove si trova il campo II a 6.500 m. Il Western Cwm è una valle glaciale relativamente piana con una pendenza molto dolce, contrassegnata da enormi crepacci nel centro che impediscono l’accesso alle quote più elevate del Cwm. quindi si è costretti ad attraversare un piccolo passaggio conosciuto come “l’angolo di Nuptse” che si trova all’estrema destra vicino alla base del Nuptse. Il Western Cwm inoltre è denominato “la valle del silenzio” in quanto la topografia della vallata impedisce ai venti di raggiungere l’itinerario dell’arrampicata rendendo, soprattutto nelle giornate serene, il passaggio nel Cwm molto caldo e faticoso.
Continuo a recitare il Mantra tutta la notte fino a che non mi addormento.
Al risveglio “finalmente” il primo vero giorno di brutto tempo invernale. Neve e vento forte, talmente forte in quota che la Montagna sembrava ululare. La visibilità sul ghiacciaio è quasi nulla ed è difficile distinguere i contorni e le profondità. 
Sembra che almeno per altre 24 ore il meteo resterà molto brutto e dunque ne approfittiamo per riposare...si è una parola...magari, la parola riposare a queste alte quote è quasi impossibile.
Dal campo II si sale la parete del Lhotse con corde fisse fino a una sporgenza a quota 7.470 mt. chiamata “Sperone dei Ginevrini”. Tento di issarmi sullo sperone per contemplare la vetta dell'Everest. Davanti a me, vedo la piramide finale di granito e ghiaccio, imponente , nobile e maestosa.
Piantiamo la tenda al campo III a 8050 mt. con un'eccitazione immensa per essere già sopra gli ottomila.
Sulla Terra solo 14 montagne superano gli ottomila ed essere ora qui è un'emozione incredibile, ma non posso ancora cantare vittoria e porto con me questi pensieri per tutta la notte. 
Da qui sono altri 500 metri fino al campo IV situato sul colle Sud. Qui si entra nella cosiddetta death zone (zona della morte), la zona in cui la rarefazione dell’ossigeno provoca ipossia.
Ora abbiamo al massimo due/tre giorni per tentare di raggiungere la cima. Le condizioni meteorologiche sono un fattore determinante, il cielo sereno e i venti moderati sono importantissimi per tentare la scalata.
Dal campo IV iniziamo la scalata intorno a mezzanotte con la speranza di raggiungere la cima.
Cammino in punta di piedi, con calma, con rispetto, per non indisporre l'Everest, perché mi accettasse, perché mi lasciasse salire. Tutto ciò che appartiene alla Terra ha uno spirito: gli animali, una valle, un albero, un fiume, una roccia, il vento, una montagna. Quando non rispettiamo la natura né gli elementi, allora offendiamo gli spiriti, che manifestano la loro furia sotto forma di siccità, terremoto o bufera.
Per i buddisti, i nostri pensieri e le nostre azioni determinano chi siamo, e ogni momento della vita offre un numero infinito di possibilità: per cambiare, per migliorare o per rovinare le cose. Guardo a quella piramide non con paura, ma con rispetto; non con ambizione, ma con umiltà.
La prima tappa è il “balcone” a quota 8.400 metri, un piccolo pianoro dove arriviamo intorno all’alba.
I passaggi successivi sono una serie di gradini (tre step) con neve alta e forte rischio valanghe, una pericolosa cornice con uno stretto passaggio molto esposto e un’imponente parete di roccia chiamata “Hillary Step” a quota 8.760 mt. Superiamo il gradino ed è relativamente semplice giungere in cima.
Non ci posso credere, ormai ci siamo, ultimo sforzo e siamo in Cima alla montagna più alta della Terra, sul tetto del mondo!
E' indescrivibile la sensazione che si prova una volta raggiunti fin quassù, abbraccio il mio caro amico sherpa, ovviamente senza di lui, sarebbe stato impossibile. Oggi realizzo il sogno dei sogni.
Il sole illumina le altre vette di fronte formando l'ombra immensa dell'Everest.
Mi sento orgoglioso, continuo a guardarmi attorno e non ci posso credere che siamo i più alti di tutti. Il panorama è veramente unico al mondo. Ringraziamo l'Everest per averci ospitato sulla sua testa con l'ennesimo mantra: Om Mani Padne Om.
Questa scalata è equivalente ad una purificazione.
Non parlo di qualcosa di spirituale, anche se ci sono monasteri sparsi per tutta la regione. Parlo di un aspetto molto pratico, legato al successo o al fallimento di questa scalata. L’Everest è democratico, tutti possono raggiungerlo, ma solo se giocano secondo le sue regole. Regole che hanno a che fare con l’altitudine, con la necessità di adattare il proprio corpo all’assenza di ossigeno: camminare lentamente, bere tanta, tantissima acqua, anche sotto forma di zuppa d’aglio e tè allo zenzero. Mangiare legumi come riso e lenticchie.
Svegliarsi all’alba e camminare la mattina presto.
Una vita ascetica. Certo, si può provare a barare. Ci si può concedere una birra o una sigaretta, o si può cercare di saltare una tappa o affrettare il passo per arrivare prima. Ma l’Everest lo vede, e potrebbe non lasciarti passare, chiedendoti il prezzo più alto: scendere, scendere di corsa in preda al mal di testa e alla nausea, scendere tutti quei metri faticosamente conquistati durante la giornata. Si può cercare di barare, ma è inutile, la squalifica è dietro l’angolo, e si può solo perdere la gara con sé stessi. Alla fine è questo il punto di questa scalata: una scommessa con sé stessi,alla ricerca dei propri limiti. E, una volta trovati, di superarli.
Ora non vedo l'ora di andare a tatuarmi l'Everest con la picozza e la scritta in Sanscrito:
"La montagna più difficile da scalare è quella dentro sé stessi.
"Tiro fuori dal mio zaino la mia tuta alare e volo, volo via come un'aquila nel cielo.



                       COSE STRANE DAL MONDO

                                            LE FOTO Di Adalberto Buzzin


                                                        Cammello in Siberia


                                                         Castello di ghiaccio



                                                 Un fuori strada...troppo fuori. 



                                                        Leggermente freddino


ANGOLO DEI LIBRI

INVITO ALLA LETTURA


scusate mi devo ripete perché Adalberto mi ha risposto:

P.S.
al momento amazon non spedisce, causa coronavirus, forse si sbloccherà la prossima settimana, nel caso posso spedire io, grazie.

Adalberto Buzzin



presentazione libro:

                                  LA MIA SIBERIA

Il cercatore di ricordi. Adalberto Buzzin è ancora in movimento. Lo incontriamo virtualmente a Vologda, una cittadina russa a circa cinquecento chilometri a nord di Mosca, con molte storie da raccontare e monumenti che ne fanno memoria.


È proprio di ricordi e nostalgie che parliamo con Adalberto: “Jamal e Komi (i luoghi che mi hanno permesso l’incontro con i nenets), sono ormai distanti, eppure già mi mancano. L’atmosfera era irreale ma vera. La notte (molto lunga, circa diciannove ore) mi ha dato delle sensazioni strane.


Sapevo dove mi trovavo, eppure mi sentivo perso: il buio avvolgeva tutto e le poche luci giocavano con le ombre come fantasmi. Camminavo in cerca di emozioni. Sono viaggi che si fanno dopo molta esperienza e per cercare l’estremo.


Devi spingerti in angoli remoti per vivere un momento indimenticabile, basta un attimo per renderti partecipe dell’assoluto nella tua piccola storia di viaggiatore. Poi i ricordi non cancellano il tempo, ma lo alimentano, suscitando quelle piccole emozioni che ti fanno sentire grande. Discorsi forse un po’ complicati se non li si vive, ma pensate che noia se fossimo tutti uguali!”



Adalberto è così, un viaggiatore un po’ all’antica, come ce ne sono pochi. Un cercatore di ricordi che vive l’attimo per goderselo in eterno.


Un istante che gli si ferma nel cuore o in qualche scatto fotografico. Un cercatore di storie “vissute e raccontate a uno sconosciuto con animo sincero e trasparente”, come quelle nate dall’incontro con i pescatori di Vologda lungo il fiume: “Passo volentieri il tempo con i pescatori; parliamo molto, ma con il mio russo capisco il venticinque per cento di quel che mi dicono. Ma va bene così, e poi ci sono le emozioni che si fanno capire subito. Stamattina alle 9.30, cioè quando la luce mi è favorevole, un pescatore mi ha offerto vodka e salame. Ho accettato il salame, la vodka no; ho detto che non potevo altrimenti le foto sarebbero venute storte. Hanno capito.


Cammino molto, le gambe sono curiose di trovare cose e storie vissute, come il mercato all’aperto o altri particolari russi che fanno la gioia dei piccoli pellegrini come me”.


Adesso anche l’amico Andrej è partito e Adalberto è rimasto solo con la nostalgia e i ricordi. Restano le immagini ibernate nell’intimo, da serbare fino a quando la malinconia le scongelerà. “Il ghiaccio mi accompagnerà verso casa, ma qual è la casa?” Si chiede Adalberto. È esistita mai veramente una casa per i cercatori di ricordi?

Il tuo amico Marino Curnis

Da oggi è in libreria il nostro autore, ADALBERTO BUZZIN, con il suo diario di viaggio LA MIA SIBERIA.


il mio libro sui miei viaggi siberiani, 170 pagine, 100 foto, tante storie, tanti km e spero qualche emozione .......... in ogni caso grazie

adalberto







una grande energia sorridere


           mangiare il mondo correre all’orizzonte

                                                       ruggire emozionarsi


Non perdiamoci di vista... l’appuntamento è per il Graffio di dicembre


      e ricordatevi sempre di chiudere gli occhi e di non smettere mai di sognare ...


                                    perché il viaggio più bello, si trova nei vostri sogni ...

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